La mia Ingeborg, di Tore Renberg (Fazi Editore – febbraio 2024)
All’inizio del romanzo leggiamo: “Io sono Tollak di Ingeborg. Appartengo al passato”. Parole che rivelano una profonda comprensione di sé su più livelli. Ingeborg è scomparsa in circostanze misteriose molti anni prima dell’inizio della narrazione, tuttavia rimane la presenza più significativa nella vita di Tollak, più ora di quanto non fosse quando era ancora presente. Nonostante Tollak sia un uomo, silenzioso e austero, Ingeborg lo amava profondamente e lei fungeva da mediatrice tra lui e il mondo esterno. Siamo come di fronte alla storia di un amore miracoloso.
Sentendo avvicinarsi la fine della sua vita, però, Tollak chiama i suoi due figli (che ormai vivevano lontano) per rivelare loro qualcosa. O forse per chiedere? Più che un invito, sembra una supplica. I figli, Hillevi e Jan Vidar, avrebbero preferito restare lontani dal padre. Il lettore comprende subito e facilmente il perché. Tollak osserva i suoi figli da lontano, e questa distanza gli pesa. Come lettori, abbiamo l’opportunità unica di vedere gli eventi attraverso gli occhi di Tollak, riflettendo sulla sua vita. Il suo monologo interiore è un misto di autoanalisi, rimpianti e, soprattutto, amarezza verso tutto e tutti coloro che crede lo abbiano tradito.
L’avvento della modernità gli ha portato via il lavoro nella segheria, ha permesso a sua figlia di andare all’università dove ha “sputato su tutto ciò che i suoi antenati avevano costruito”, e ha persino instillato in Ingeborg il desiderio di trasferirsi in città. Ma Tollak non ha assolutamente intenzione di cambiare direzione. E’ come l’eroe di una tragedia greca: non perché sia un eroe, ma perché non può cambiare quando dovrebbe. Ecco perché la sua rovina è insita nel suo essere. L’unica persona con cui Tollak si confida, oltre a Ingeborg, è Oddo. Oddo abita in casa sua ed è considerato ancora un bambino, nonostante sia ormai un adulto. Mentre i pensieri di Tollak si perdono nel passato, la storia si muove inesorabilmente verso la sera in cui i suoi figli arriveranno e scopriranno quali segreti non vuole portare con sé nella tomba.
Alla fine della sua vita, pensa di non avere più nulla da perdere e si lascia andare. Scoprirà di essersi sbagliato, un’ultima volta.
Renberg ha scritto un gran bel romanzo, pluripremiato in Norvegia, ma la cui lettura non è assolutamente consolatoria e che a volte può anche risultare urticante. E sono ovviamente queste le qualità che se consigliano assolutamente la lettura
Recensione di Moreno Migliorati
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