LA MONTAGNA INCANTATA, di Thomas Mann
Un grande romanzo. Così si può sintetizzare il giudizio ultimo su questo libro. Tanti i temi, le problematiche, gli aspetti che molti e accreditati critici hanno evidenziato; dal mio personale punto di vista dico che vero protagonista de “La montagna incantata” è il tempo, nel suo scorrere inesorabile, lento o veloce, sempre uguale, sempre diverso.
Direi che tutta la storia sia la metafora del tempo e non il contrario, come in genere avviene nei racconti. Già a pag.13 questo viene preannunciato ed è quanto di più impoetico e meno romanzesco si possa immaginare: la vita monotona in un sanatorio per ricchi, in una località di montagna. Eppure, nonostante la sua consistenza (676 pagine la mia edizione) questo romanzo ti prende e induce a continuare la lettura.
Libro da leggere con calma, da gustare adagio, come un calice di buon vino rosso, con ritmo lento, per assaporare, apprezzare e assorbire meglio la prosa. In essa sono sapientemente utilizzate la calma paratassi, ben articolata, con periodi lunghi e la intrigante ipotassi con incisi, incidentali e subordinate fino al terzo e quarto grado. Con questa tecnica narrativa molto belle sono le pagine dei numerosi incipit, da quello iniziale agli altri, come quello di pag.540, caratterizzati da piacevole ironia, che fanno pensare agli analoghi accorgimenti di J.Amado e J. Saramago.
Molte sono le pagine di bella prosa, artistica e raffinata : 26, 28, 216, 506, 511, 528, in cui l’Autore descrive con precisione ambienti, scene, situazioni, oggetti…Numerosi i campi in cui si addentra con approfondimenti: medicina, anatomia, biologia, filosofia, esoterismo, musica…, spesso oggetto di animate discussioni tra l’umanista italiano (tòpos) Lodovico Settembrini e il cupo, raffinato gesuita Naptha con i loro siparietti che spesso, per me, sono eccessivi, rendendo lento lo scorrere della lettura, comunque tenuta viva dall’ironia che li sottende e dalla compiaciuta partecipazione dell’Autore.
Onestà di lettore impone di notare il controsenso (forse nel 1924 non avvertito) del protagonista ed altri personaggi che fumano, pur essendo malati di tubercolosi, come pure il fatto che il decesso di qualcuno dei malati-pazienti all’inizio del romanzo viene celato agli altri ospiti del sanatorio, mentre quelli del cugino Joachim e del mynheer Peeperkorn sono esibiti e partecipati, come pure non passano inosservati quattro refusi (o errori di traduzione) a pag.216: “… in tre SI poteva metterSI…”, a pag.662: “… Radamanto da stridente…” forse doveva, essere “da studente”, a pag.664 si legge “… restò sconcertato” con tre possibili soggetti maschili e nessuno femminile; peccati veniali in un’opera importante che a pag.75 presenta anche un piacevole e felice controsenso.
In conclusione, un romanzo importante, dalla lettura non facile, ma non ostica, che, dopo un corso lungo e lento, in seguito al duello dall’esito imprevisto, giunge velocemente all’epilogo nelle ultime tre pagine con una prosa d’arte, da vero autore, meritatamente tra i più importanti della letteruta tedesca ed europea della prima metà del Novecento.
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