La narrativa gialla vista dalla parte di chi indaga – L’Ispettore Chen Chao (Qiu Xiaolong)
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Cosa può fare un cultore di poesia, e poeta lui stesso, sulla scena di un crimine? Poco o nulla credono i colleghi di Chen Chao, letterato appena promosso ispettore capo del settore Casi Speciali della Polizia di Shangai e, per di più, destinatario di un appartamento (in realtà uno scomodo monolocale) ambito da molti.
In effetti Chen preferirebbe di gran lunga dedicarsi a tempo pieno ai suoi amati studi letterari e alle traduzioni dall’inglese, ma il senso del dovere gli impone di indagare su casi che – e accade spesso – nascono dalla corruzione che il Partito, con mano ferrea, nasconde o spaccia per “crimini commessi sotto l’influenza dell’Occidente borghese”.
È questo, a mio avviso, il tratto distintivo dell’ispettore creato da Qiu Xiaolong; mentre i suoi colleghi occidentali, anche loro consapevoli del marcio della società, si muovono controcorrente e a mani libere, Chen è integrato in un sistema che non offre alternative.
Eredi dei “gong’an” (unico esempio di narrativa poliziesca cinese), incentrati sulle difficoltà che i magistrati incontrano nell’applicazione della legge, i libri di Qiu colmano questa lacuna, grazie al personaggio di Chen, ponte fra passato e futuro del lavoro investigativo. Consapevole che “il confine fra verità e finzione viene continuamente segnato e cancellato da coloro che sono al potere”, Chen si muove con cautela ma anche con rigore nei meandri del crimine, sorretto da un innato e profondo senso di giustizia che i suoi studi hanno affinato e consolidato. La passione per la lettura lo accomuna a molti degli investigatori occidentali; questi, però, la considerano un momento di relax, mentre Chen ‘vive’ la millenaria tradizione poetica della sua terra e uniforma il proprio agire all’eleganza e all’essenzialità che la caratterizzano.
Un’altra passione condivisa con i ‘nostri’ è quella per la buona tavola, non mancano, infatti, digressioni sul cibo, ovviamente ben diverso da quello commerciale e occidentalizzato che anche noi consumiamo, senza, inutile precisarlo, la ritualità che accompagna per gli orientali l’atto del mettersi a tavola. Ma il tratto che rende unico Chen è l’empatia nei confronti degli altri, tutti gli altri, vittime colpevoli. Spesso lo sorprendiamo ad esaminare una foto per capire come le vicende della vita abbiano segnato quel volto, ma, ancora più spesso, lo troviamo intento a seguire il caotico flusso della folla per ricostruire storie piccole e grandi chiedendosi “cos’è che ci tiene sotto incantesimo/la danza o chi danza?”. Così Shangai assurge a metafora dello scorrere di ogni esistenza dal passato al futuro, in bilico fra tradizione e modernità.
Chen tenta una sintesi tra questi due aspetti, senza nessun preconcetto nei confronti del nuovo e soprattutto tentando di svelare le trame dei “ratti rossi” che vorrebbero impedire l’inevitabile aprirsi della sua cultura alle altre.
Non è un caso, quindi, che in Cina mentre i primi tre libri, pesantemente ‘rivisti’ siano stati pubblicati, gli altri rimangono inediti.
Di Miranda Valsi
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