LA PECORA NERA, di I. J. Singer (Adelphi – febbraio 2022)
Questo racconto autobiografico è stato pubblicato la prima volta nel 1946 a puntate e solo dopo la morte dell’autore raccolto in un’opera unica.
Il racconto è scritto in un linguaggio scorrevole e procede secondo i ricordi del piccolo Yoshua che è il nipote di un illustre rabbino, egli racconta, con l’ingenuità e la curiosità tipica dei bambini, le vicende della sua epoca a partire dall’incoronazione dello zar Nicola II, i racconti di vita familiare e traccia quindi, la trama della comunità di un misero villaggio ebreo lungo la Vistola di cui il padre era il rabbino. Racconta la vita quotidiana di un ragazzino curioso e irrequieto , insofferente allo studio e spesso ai riti cui è costretto a partecipare quando invece vorrebbe scorrazzare per i campi assieme agli altri ragazzini. Le descrizioni sono così efficaci che il lettore ha come la sensazione di percepire la povertà della casa, sentire la rassegnazione della madre che non si è mai adattata all’arretratezza del villaggio e all’ignoranza delle altre donne, lei che nella casa del padre aveva ricevuto una istruzione più che adeguata per una donna si trova ora a condividere l’esistenza con donne che parlavano solo di lavoro e fatica. La saltuarie gite nella casa dei nonni materni sono gioiose per il ragazzino che con occhi ingenui confronta la povertà di casa sua con l’abbondanza della casa dei nonni.
Il lettore può percepire lo stile di vita, la povertà estrema del villaggio, i difficili rapporti con le altre comunità, l’ostilità dei polacchi e dei gentili, ma ciò che rende il racconto vivace è la personalità di Yoshua, un bambino desideroso di conoscere, curioso, sempre pronto a origliare e a impicciarsi delle faccende degli adulti più che dedicarsi allo studio imposto severamente dalla famiglia . Si percepisce un’ atmosfere cupa, a causa dei difficili rapporti tra i genitori estremamente mal assortiti e caratterialmente quasi incompatibili. Il tema che giustifica il titolo è dato dall’insofferenza che il ragazzino manifesta nei confronti dei divieti imposti dalla religione per la quale qualsiasi cosa è peccato e che rendono la vita triste e piena di pregiudizi mentre lui è desideroso di sfidare il mondo e superare le barriere imposte.
In questo racconto non ci sono grandi intrecci o fatti eclatanti ma l’autore traccia un quadro nostalgico di un mondo lontano, dei suoi riti, dei pregiudizi di una comunità che ha fatto dello studio dei testi sacri e della cultura in generale un elemento centrale per consolidare il senso di appartenenza e di identità in mondo estremamente incerto e molto spesso ostile.
Tutta la narrazione è pervasa da una profonda nostalgia per il passato quando lo si rievoca da adulti; molto forte emerge anche l’incertezza nei confronti della religione e della fede da parte dell’autore. Non è un testo triste, anzi, ci sono descritte delle scene davvero divertenti quando ad esempio alcune coppie si presentano davanti al rabbino per divorziare ed eccedono in divertenti battibecchi.
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