LA PIOGGIA PRIMA CHE CADA, di Jonathan Coe
“So che nelle foto si sorride sempre, ed è per questo che non dovremmo mai fidarci di ciò che ritraggono”.
Venti fotografie in ordine sequenziale.
Un nastro inciso con voce di donna.
Rivivere, raccontare, immaginare.
Accoppiare parole a immagini per dirne i colori, le forme, gli edifici, i paesaggi, i corpi, i volti…
Di quei volti provare a indovinare tutto, il sorriso pieno o la piega smorzata, e dare spazio alla memoria, una memoria che ricostruisce, ordina, scompiglia, riordina, spiega, giustifica, scuote, emoziona.
Perché è questo che fanno i ricordi, ci costringono a guardarci dentro, a guardare allo stesso istante in cui quella foto è stata scattata facendosi ricordo senza che ne fossimo consapevoli.
Ed è questo che fa Rosamunde, che nei suoi ultimi giorni costruisce un testamento fatto di foto e nastri che non serva solo a se stessa ma anche a Imogen, erede non vedente di una storia di donne che attraversa ben tre generazioni.
Una storia di dolore, privazione, di baci mancati e abbracci non dati, ma anche una storia di amore incondizionato, superiore, di chi prova ad offrire un altrove che sia al di là della consolazione, di chi cresce nel momento in cui comprende che due verità che si contraddicono possono essere egualmente vere, di chi crede che possa esistere una felicità appena intuibile, afferrabile, nell’attimo stesso in cui la si aspetta o la si crede reale, proprio come la pioggia prima che cada.
Intenso, struggente, poetico, da ascoltare con il sottofondo di “Bailero” di Canteloube (chi ha letto il libro capirà) e, in un crescendo di fiati e violini, farsi sorprendere dalla voce di un soprano che irrompe inaspettata, farsi travolgere da una dolce ma indefinibile malinconia: “Non c’è niente che si possa dire, immagino, di una felicità perfetta, impeccabile e senza ombre; niente, salvo la certezza che dovrà finire”.
Coe, mi hai già conquistata!
Recensione di Magda Lo Iacono
LA PIOGGIA PRIMA CHE CADA, di Jonathan Coe
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