La saga di Bull Mountain – Brian Panowich

La saga di Bull Mountain – Brian Panowich

Aspettavo da qualche anno di salire sulla giostra di Panowich per far ritorno a Bull Mountain, in Georgia.

Non vedevo l’ora di ritrovare l’ombra di quella gigantesca montagna, il suo profilo maestoso, che domina la vallata sottostante. È qui che Gareth Burroughs opera e prospera, al di sopra di ogni legge, fra distillerie clandestine e traffici illeciti di ogni sorta.

Qualcosa di molto simile alla contea di Richmond, Virginia, de “La contea più fradicia del mondo” narrata da Matt Bondurant: la storia vera (ma romanzata) dei suoi prozii e di suo nonno, che misero in piedi un traffico clandestino di alcolici ai tempi del Proibizionismo. Sarà il grande scrittore Sherwood Anderson (eh sì, proprio lui), in cerca di storie da raccontare, a battezzare la contea la “più fradicia del mondo”.

La storia dei fratelli Bondurant sarebbe poi diventata un film (“Lawless”) sceneggiato da Nick Cave, con un importante cast di attori.

Panowich crea un mondo sotterraneo, una fitta rete di trame sommerse, che contribuiscono a dare ai primi due titoli (“Bull Mountain” e “Come leoni. Ritorno a Bull Mountain”) un tono da tragedia moderna. Ci sono legami familiari che si compromettono e si spezzano, nella contesa per il potere. Una quotidiana lotta per la sopravvivenza, senza esclusione di colpi: lotte fratricide, il Bene e il Male che si scontrano e spesso si confondono l’uno dentro l’altro.

Sullo sfondo, austera ed imponente, la montagna, con i suoi misteri e i suoi segreti. Un enorme tappeto sotto il quale è possibile seppellire qualsiasi cosa, facendo in modo che nessuno lo verrà mai a sapere. Un luogo reale e metafisico al tempo stesso, un personaggio a tutti gli effetti, che tutto vede e tutto conosce. Un gigantesco vegliardo di roccia e bosco.

Con il successivo “Hard Cash Valley. All’ombra di Bull Mountain”, Panowich compie una operazione di lieve distacco (come già il titolo lascia intuire) dal nucleo della storia narrata dei primi due titoli: sviluppa una storia parallela – ambientata nel vicino Stato della Florida – e introduce nuovi personaggi, rimanendo comunque “all’ombra” di quella montagna. È lì che tutto ha avuto inizio. È lì che si dovrà far ritorno, per mettere insieme tutti i tasselli del mosaico.

Con “Nient’altro che ossa”, il quarto titolo appena pubblicato in Italia (sempre da NN editore, tradotto da Matteo Camporesi e Serena Daniele) torniamo a Bull Mountain e ritroviamo l’adolescente Clayton Burroughs, non ancora sceriffo della Contea. I contrasti con il padre Gareth sembrano prendere i contorni di un distacco definitivo: il figlio non riconosce i codici di comportamento di suo padre e si rifiuta di seguirne le orme.

Come già in “Addio e ancora addio” di Larry Watson (tradotto da Nicola Manuppelli per Mattioli 1885) lo scontro fra padre e figlio supera i confini del conflitto generazionale per assumere connotati etici: a scontrarsi, sono due diversi modi concepire la vita, due sistemi di valori contrastanti, due diversi modi di stare al mondo.

La storia del giovane Clayton sembra essere il più classico dei prequel, concepito per raccontare come tutto ebbe inizio e quale sia stata la crepa definitiva nel rapporto con il padre fuorilegge.

Bastano poche pagine per scoprire che è molto di più. Pur mantenendo il ritmo serrato dei precedenti titoli, tra fughe, colpi di scena e una crescente suspence, “Nient’altro che ossa” è anche e soprattutto un tenero romanzo di formazione: il racconto di tre giovani esistenze che cercano il proprio posto nel mondo. Un romanzo di rinascita e di riscatto, di chi cerca una seconda possibilità da afferrare e tenere stretta a sé, a qualunque costo.

Qualcosa di davvero inaspettato per i lettori della saga di Bull Mountain, come lo stesso Panowich ammette nei ringraziamenti finali, prima di lasciarci con una commossa dedica alle sue due figlie.

Non poteva scegliere modo migliore per chiudere questa lunga storia di sangue e violenza: uno spiraglio di luce alla fine di un estenuante cammino nel buio, una speranza di rinascita e, perché no, di felicità.

Brian Panowich

“Bull Mountain”.

“Come leoni. Ritorno a Bull Mountain”.

“Hard Cash Valley. All’ombra di Bull Mountain”.

“Nient’altro che ossa”.

Recensione di Valerio Scarcia

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