LA SCOPA DEL SISTEMA, di David Foster Wallace
Recensione 1
Merdimonio che libro!!!
Se poi penso che David lo ha scritto a 24 anni ed è la sua tesi di laurea, mi si rizzano i capelli!
La Scopa del Sistema è un esordio semplicemente geniale.
A partire dalla trama: Lenore Beadsman si mette alla ricerca della bisnonna, Lenore Beadsman, sparita insieme ad un gruppo di altri pazienti ed infermieri, dalla casa di riposo in cui viveva, casa di riposo di proprietà del padre di Lenore Beadsman Junior.
Un giallo direte voi, e invece no…
La Scopa del Sistema è un giallo che sfuma nel non giallo.
E’ un libro filosofico, comico, ironico, futuristico, spiazzante, irriverente, godibile, malinconico e profondo, è un libro che vorresti non finisse mai, e infatti…
Ne La Scopa del Sistema il lettore viene inesorabilmente rapito dalle parole, dal linguaggio, vero protagonista.
Dialoghi praticamente perfetti, serrati, monologhi interiori, racconti, racconti ri-raccontati, sogni, sedute psico-analitiche, trasmissioni televisive, tutto concorre a creare un sistema di parole che mi ha tenuta incollata al libro. Impossibile venirne fuori.
La stessa Lenore ne è imprigionata: dalle parole della bisnonna, ossessionata dal pensiero filosofico di Wittgenstein, la vita è parole, che possono creare e distruggere, a quelle del suo pseudo-fidanzato Rick Vigorous che la fa sua attraverso lunghi e incessanti racconti che arrivano alla sua redazione. Il racconto, il fiume di parole che le sussurra, è l’unico modo per possederla, lui che nonostante il nome, è impotente.
E poi ci sono le parole di Vlad l’Impalatore, il suo pappagallo che passa da citazioni erotiche a sermoni cristiani recitati su una Tv via cavo.
E infine c’è la sapiente arte dell’uso delle parole di cui David è maestro, destruttura e reinventa la scrittura, dando a tutto il sistema un senso, attraverso anche giochi linguistici e il diverso significato che le parole assumono a seconda di come e dove vengono usate.
Il risultato finale è devastante e deflagrante.
Sullo sfondo, a far da contorno ad una folla di personaggi magistralmente diretti dalla penna di David, c’è una città i cui confini, visti dall’alto, hanno la forma della silhouette di Jayne Mansfield, icona americana, e un deserto artificiale “un punto di riferimento per le buone genti dell’Ohio. Un luogo da temere e amare. Un luogo selvaggio. Un luogo dove la gente possa aggirarsi in solitudine. Per riflettere. Lontano da ogni cosa”, il Deserto Incommensurabile dell’Ohio…D.I.O.
Oltre c’è un’America impazzita, grottesca, paradossalmente vera, con le sue fragilità, gli eccessi, la solitudine, la tirannia della televisione, la difficoltà a volte insormontabile di comunicare, il mito della psicoanalisi, qui presa in giro da Wallace.
David deforma una realtà che è già deformata di suo.
Ma il giallo che sfocia nel non giallo avrà un epilogo?
Con David nulla è scontato, il finale è aperto, il punto del libro è che per assurdo non ha un punto.
Quello che è certo è che nessuno mi toglierà più dalla testa Lenore Beadsman rigorosamente di bianco vestita con le sue All Star nere alte!
Thank you David!
Buona lettura!
“La letteratura o smuove le montagne o è noiosa; o smuove le montagne o sta col culo piantato per terra.”
Recensione di Cristina Costa
Esistono libri faticosi e crudeli come un corpo a corpo con un rapinatore slavo, altri spassosi e allucinanti come sedute di acquagym viste su un telo dalla spiaggia, altri ancora dominanti e densi di dolore come verità inesplose che stanno per innescarsi e altri, infine, appassionati e giocosi come una notte d’amore a vent’anni.
E poi, rari e preziosi, esistono libri che sono tutte queste cose insieme. “La scopa del sistema”, incredibile esordio in scrittura di un ventiquattrenne David Foster Wallace, è proprio uno di quei libri in cui veglia e abbandono della coscienza, disputandosi il possesso di ragione e sentimento, danno significato all’atto di leggere.
I numerosi e labirintici nuclei portanti del libro sono individuati con logica precisione nella prefazione di Stefano Bartezzaghi all’edizione Einaudi Stile Libero. Ne rimane appena accennato, a mio avviso, il rapporto tra lo scrittore e il lettore, attraverso cui il libro diventa una ambigua stanza dei giochi e delle torture.
“La scopa del sistema” racconta, in breve, la storia di due Lenore Beadsman. La prima è una giovane fragile e bella, impegnata a condurre la vita in un mondo a lei fondamentalmente alieno, ma alla cui esistenza guarda con meraviglia. La seconda Lenore è la sua omonima bisnonna, quasi centenaria ed ex allieva di Wittgenstein, che scompare misteriosamente dal ricovero in cui si trova ospitata. Con le due Lenore troviamo una miriade di bizzarri comprimari e altri 4 personaggi chiave: Rick Vigorous, attempato datore di lavoro, nonché fidanzato impotente e perdutamente innamorato della Lenore giovane, il dottor Jay, folle ed avido psicologo dei due fidanzati, Mindy Metalman affascinante ed algida attrice fallita e il suo quasi ex marito Andy “Batacchio” Lang che, rivedendola dopo dieci anni, si innamorerà follemente di Lenore.
Questi sei personaggi, ben lungi dal cercarne uno, tentano disperatamente di liberarsi dal proprio autore, che esercita su di loro e transitivamente sul lettore un controllo quasi ossessivo fatto di inesorabili astuzie, verbosi ragionamenti, trappole logiche, espedienti ludici volti a saturare ogni possibile trovata narrativa. Solo a titolo di esempio, ecco la descrizione che Rick Vigorous fa di Lenore: “Lenore ti invita tacitamente a giocare un gioco che consiste di oscuri tentativi di scoprire le regole del gioco stesso. Che ve ne pare. Le regole del gioco sono Lenore, e giocare significa essere giocati. Scopri le regole del mio gioco, ride lei, ridendo con o di te.”
È chiaro che questo gioco è lo stesso a cui lo scrittore invita (o costringe) il proprio lettore. Lenore, prototipo del lettore, è manipolata ed influenzata dalla bisnonna che le ha insegnato che la vita vera è solo quella che si può raccontare (verità opprimente che avrà un peso, forse, sul tragico esito biografico di Wallace), dallo psicologo, dal maturo fidanzato, non a caso autore di feroci racconti sentimentali che destabilizzano l’ignara Lenore.
Senza svelare ulteriori elementi della trama, dirò solo che a Lenore è lasciata la possibilità di una significativa via di fuga dalla stanza delle torture. E al lettore? Il romanzo termina (nella versione italiana) con una frase idiomatica, pronunciata dallo scrittore Rick Vigorous, lasciata priva dell’ultimo termine. Ancora una volta una ambiguità che sembra consentire scampo al lettore dal proprio connaturale solipsismo, ma, dato il tipo di frase, ancora una volta sotto il controllo crudele e affettuoso dell’autore.
Ancora più sintomatico che il termine mancante, che non svelerò, è proprio quello di cui si nutrono scrittori e lettori, materia rilucente e appuntita con cui si fa la letteratura e, in ultima analisi, i libri.
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