La Sesta Strega d’Italia (mancata) – L’acqua del lago non è mai dolce, di Giulia Caminito
“Per crescere bisogna faticare, non si è fanciulli a lungo, non verrai difeso, accudito, abbeverato, ripulito, salvato per sempre, arriva il momento in cui tocca a te stare al mondo, e questo è il mio”
Ultima tappa di un percorso originale e azzardato, che ha avuto come protagoniste solo scrittrici, e solo scrittrici italiane che hanno vinto il prestigioso Premio Strega.
Attraverso i loro occhi abbiamo ripercorso, in un certo qual modo, la storia del nostro Paese, i suoi cambiamenti sociali e di costume e l’evoluzione, a volte involuzione, della nostra lingua italiana.
Giulia Caminito non ha vinto il Premio Strega ma era tra i cinque finalisti dello scorso anno.
Tra le tre scrittrici nella rosa, Giulia è senza ombra di dubbio la mia personale Strega 2021.
L’acqua del lago non è mai dolce è un romanzo pieno di vita vera, racconta di disagio, ribellione, povertà, emarginazione, ingiustizia, genitorialità, amicizia, primi amori, illusioni e delusioni…sopravvivenza.
E’ un romanzo quasi tutto femminile. La voce narrante è una ragazzina prima, adolescente poi e adulta alla fine, che racconta la sua vita nella periferia romana.
Per una serie di assegnazioni di alloggi, giuste o ingiuste, si trasferisce vicino al Lago di Bracciano, dove vive quasi tutta la sua adolescenza.
Ne L’acqua del lago non è mai dolce…
…c’è una madre, Antonia, determinata, forte, dedita al sacrificio, alle sue spalle il peso di una famiglia intera. Un marito invalido, quattro figli che cresce praticamente da sola.
Antonia è testarda, caparbia, onesta fino all’eccesso, non scende a compromessi con sé stessa e con le ingiustizie della sua misera vita, è sempre in movimento, instancabile, se qualcosa non va, non aspetta, la aggiusta da sola o la abbandona.
“Lei è il capitano della nostra nave, ci guida, segue la sua rotta, dà ordini e impartisce disciplina anche se all’orizzonte arriva una tempesta, quando qualcosa sfugge e si rompe lei dice che ormai è andata, gli oggetti rotti verranno abbandonati, salveremo ciò che è integro ed è indispensabile”
Sembra un’eroina e invece non lo è…è in fondo una madre-padrona che cerca il suo riscatto attraverso la figlia. Antonia rinchiude i suoi figli in dinamiche che sono una prigione. Uno dei due figli soccombe.
…c’è una figlia, la voce narrante del libro, su di lei incombe prepotente la madre, che viene chiamata quasi sempre con il suo nome, Antonia, mentre il nome della protagonista viene svelato quasi alla fine del libro, una volta sola…un nome che è un ossimoro della sua vita, una scioccante presa in giro.
Dominata essenzialmente da due sentimenti: rabbia e delusione che si rincorrono per tutto il libro.
Per tutto la storia impara a non lamentarsi mai, a non ribellarsi mai, a non reagire mai…o quasi.
“Questo primo tradimento mi aggredisce e lo trattengo sulle ciglia, non lo trasformo in lacrima, lo comprimo, come se possedessi una pressa industriale, una tenaglia, il tradimento viene schiacciato dal calore del mio disgusto”
Sembra sempre che abbassi la testa in realtà è solo una sorta di quiete prima della tempesta.
Eh sì, perché invece reagisce, come una supernova, implacabile, a ogni torto subito risponde con una violenza inaspettata e imprevedibile.
“Sparare a salve mi viene bene, rompere rotule con le racchette anche, la mia famiglia è il mio anestetico, contro di loro non so reagire”
Rabbia, rassegnazione, delusione, rancore la fanno implodere…
“Io sono stata un cigno, mi hanno portata da fuori, mi sono voluta accomodare a forza, e poi ho molestato, scalciato e fatto bagarre anche contro chi s’avvicinava con il suo tozzo di pane duro, la sua elemosina d’amore”
…e infine c’è l’acqua del lago…il Lago di Bracciano, con le sue leggende, i suoi miti, le sue credenze, il suo presepe sommerso.
“Un ragazzetto biondo sta seduto sulla ringhiera coi piedi penzoloni e indica anche lui quel punto, esattamente il punto del mio dubbio, e dice che là da sempre c’è il presepe sommerso, c’è Cristo bambino, ci sono il bue e l’asinello, alle feste li illuminano, è una tradizione del paese.
Io mi sporgo e guardo e riguardo ma non vedo più niente, l’acqua è limpida e non mostra la natività che sto cercando.
Allora dico: Non ci credo.
E lui dice: Vieni a vedere a Natale”
Il lago rappresenta la fatica di crescere perché la sua acqua è pesante, densa, infida, pericolosa, invischiante, non ne vedi il fondo, apparentemente calmo in realtà inghiotte, è predatore, fangoso e disagevole.
Quanto siamo lontani dall’Isola di Arturo, primo libro di questo percorso!
Elsa Morante, prima donna a vincere lo Strega nel 1957.
Molte tematiche accomunano questi due testi, il principio e la fine del nostro viaggio, è la visione che cambia, ci sono circa 70 anni di Italia in mezzo, un paese che è cambiato, non sempre in meglio.
Se da una parte c’è Arturo con la sua gioia di vivere, con la sua proiezione verso un futuro, incerto sì, ma stimolante, con la sua adorazione verso un padre anaffettivo, ma che è stato capace di amare; un padre che è un eroe per Arturo e che quando mostra le sue debolezze viene perdonato; c’è il mare, aperto, luminoso, trasparente, che fa da barriera agli orrori esterni e al tempo stesso invita all’avventura; c’è la natura, l’isola di Procida, accogliente, rigogliosa, un grembo materno per Arturo, e soprattutto c’è l’amore in tutte le sue forme, amicizia, maternità, passione.
E infine ci sono i libri che per Arturo sono una liberazione, sono il suo mondo altro, sono il mezzo attraverso il quale vive le sue avventure.
Nel libro di Giulia invece manca totalmente la gioia, se ne assaporano solo brevi e fuggevoli spiragli subito oscurati dalle brutture della miseria, a ogni speranza segue una disillusione, non c’è positività, non c’è lo slancio verso il futuro, non c’è la voglia di ricominciare, non c’è amore, manca la curiosità e soprattutto è totalmente assente il perdono.
La natura, il lago onnipresente con la sua inquietudine è ostile, è anche lui il risultato di un’implosione. E i libri diventano una prigione perché imposti.
Sono entrambi lo specchio dei loro tempi? Credo proprio di sì, forse agli eccessi però.
Se l’Isola di Arturo è quasi un libro epico, dove forte è la presenza del mito, il libro di Giulia è un libro assurdamente e inesorabilmente senza scampo…apparentemente…
C’è sempre una via di salvezza, o almeno io sono portata a trovarla, e l’ho letta nell’ultimissima pagina del libro, nell’ultima frase della Nota dell’autore:
“E comunque io quel presepe subacqueo, sotto al molo, non l’ho mai visto, ma ci credo, che sia lì.
Ci credo da quando sono bambina e non ho mai smesso.”
Credere, continuare a credere che ci sia sempre qualcosa di Bello nel mondo che aspetta solo di essere svelato!
Buona lettura!
Di Cristina Costa
La Sesta Strega d’Italia (mancata) – L’acqua del lago non è mai dolce Giulia Caminito
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