LA STANZA DI SOPRA, di Rosella Postorino
Dopo “Le assaggiatrici”, romanzo che non mi ha entusiasmato più di tanto, mi sono ripromessa di dare un’altra possibilità alla Postorino, giovane scrittrice italiana vogliosa di lasciare una sua impronta di notorietà nell’editoria sia per la scelta dei temi trattati e sia per una certa originalità nella scrittura.
Bene, leggiamo il suo libro di esordio “La stanza di sopra”.
Ma prima di esporvi le mie considerazioni sulla predetta lettura è d’obbligo fare una premessa. Quando condivido le mie recensioni, frutto di emozioni, impressioni, ma anche valutazioni attente e coscienziose (ovviamente secondo i parametri della mia coscienza) non mi atteggio a critico letterario ma indosso le mie consuete vesti della lettrice media che ha tutto il diritto di esprimere le sue opinioni nel bene o nel male. Una lettrice che prova gusto nel compartecipare, attraverso i vari gruppi di lettura, la passione per le storie scritte. Punto.
Detto ciò “La stanza di sopra” posso tranquillamente definirlo un romanzo Rap: secco, asciutto, dal linguaggio tagliente.
Mi spiego meglio.
Avete presente la musica rap, quella poco nota, quella musica che ti sputa in faccia la visione di una realtà disfunzionale, quella che circola fra giovani adolescenti smarriti nel flusso di parole essenziali, nel ritmo delle assenze di proposizioni esplicite e implicite, nel vuoto tridimensionale (larghezza, lunghezza, altezza) di un’età di passaggio, percorso necessario ma non sempre felice dalla fanciullezza all’età adulta?
In questo libro la Postorino è riuscita a creare un linguaggio letterario da rapper, centrando a pieno il disorientamento di Ester, la protagonista quindicenne.
Non mi posso che congratulare sinceramente con lei anche se virtuamente. Chapeau!
Chi non ha avuto, nel passaggio all’età adulta, più o meno, “una stanza di sopra”? Chi non ha assistito al crollo dei miti genitoriali nello scoprirli improvvisamente fragili e in balia del destino e degli eventi? Chi non si è più riconosciuto nello smarrimento dei freschi ricordi infantili? chi non ha provato quel senso di obnubilazione, di impedimento nell’andare oltre il vuoto che avanza?
Un po’ tutti, smemorati adulti del presente, siamo stati Ester quando ci siamo accorti che il biscotto della prima colazione si è improvvisamente sbriciolato fra le nostre mani lasciandoci digiuni.
Tuttavia la musica rap – l’adolescenza si supera prima o poi, in un modo o nell’altro – non è per tutti o almeno alla lunga stanca poiché il suo ritmo battente può infastidire come una rumorosa litania senza via di fuga.
Ed è proprio come la storia narrata, in prima e terza persona, dalla Postorino: sebbene il fascino dello stile linguistico, le metafore, le allitterazioni, i flashback ect e la durezza dell’argomentazioni – il disagio adolescenziale non ha mai risparmiato nessuno ed è sempre, e sempre sarà, un tema ciclico – arrivare alla duecentesima pagina è come trascinare i piedi dopo una sfrenata corsa a perdifiato: si arriva disidratati e sfiniti.
Una storia forte, senz’ombra di dubbio, dove ogni parola è studiata, gradino dopo gradino, e ben incastrata nella psiche che emerge dalle piaghe di un corpo fantoccio. Ma, anche qui, un piccolo appunto: spero tanto in una evoluzione linguistica dell’autrice. Un altro libro così si può leggere a distanza di tempo onde evitare una fastidiosa indigestione di lamette.
La Postorino mette sempre troppi ingredienti in un fuoco che non regge!
“Dove sono i miei talloni, i miei gomiti, le mie orecchie, il mio mento, le mie ginocchia? Il mio corpo nella stanza appartiene a una sconosciuta, e mi spaventa, è un’imitazione, nient’altro che una truffa, è l’imitazione, soltanto l’imitazione di me stessa”.
Storia molto bella ma a me nn piace il suo modo di scrivere. Risulta molto confuso oscuro e cupo