LA VALLE DEI FIORI, di Niviaq Korneliussen (Iperborea – giugno 2023)
Consiglio calorosamente la lettura di questo libro.
Perché è un racconto di un’autenticità talmente potente da riesce ad abbattere il muro di un confinante provincialismo.
Perché è violento come uno schiaffo morale, gelido che sveglia dall’oblio, percuote, desta da quel sonno ipnotico il cui sguardo non va oltre le quattro facciate in cui il mondo sembra tutto lì, fermo ai nostri dolori, alle nostre piccole gioie, pettegolezzi, vittorie e fallimenti, like e non like. Limiti. Facce sempre uguali, chiacchere ripetitive. Voliamo oltre.
Con “La valle dei Fiori” usciamo dal nostro ristretto “io” e scopriamo altri mondi, altre dimensioni, altre vite per renderci conto che non siamo solo noi a esistere e a morire.
“La Valle dei Fiori” è un romanzo innovativo, contemporaneo, autentico, genuino, tosto.
La penna di Niviaq Korneliussen ha la forza caustica di scavare tra i ghiacciai di cuori frantumati, di toccare l’anima inquieta devastata dal disagio, dal senso di inadeguatezza e da una vertiginosa solitudine. Affronta il tema della morte, voluta, cercata per non soffrire più.
È un romanzo crudelmente e volutamente fisico, carnale talmente genuino da elevarsi in poesia quella pura senza fronzoli né ricami, né manipolazioni letterarie, né merletti di contorno. Un vero e proprio orgasmo letterario.
È una scrittura schietta, palpate perché i malesseri e i tormenti della giovane protagonista volutamente senza nome e di origini Inuit (Popolazione indigena delle coste artiche dell’America, distribuita dalla Groenlandia sino all’Alaska), penetrano dentro la pelle e fanno male: appartengono a tutti noi.
Ci spiattellano una società fallimentare che in nome di una globalizzazione infelice distrugge giovani identità, schiaccia esistenze come fossero parassiti.
Una società che avvolge nell’oblio i deboli per ingannare gli occhi della vasta comunità in cui vige la legge del più furbo e del più forte. Gioca a pingpong scaricando colpe e giustificazioni.
Non abbiamo nome neppure nella tomba, ma solo numeri e fiori di plastica.
Ed è per questo che ringrazio Niviaq Korneliussen, scrittrice millennial, lesbica, groenlandese, per avere scritto un romanzo che ha dato voce a chi non viene ascoltato perché ciò richiederebbe troppo sforzo, troppo impegno, troppa umanità, troppo tempo, bisognerebbe disobbedire ai rigidi protocolli e non ne vale la pena mettersi sotto scopa. Non è facile sanare la discrasia di un’esistenza combattuta tra il bisogno bruciante di amore e la paura di deludere e di donarsi con cui finisce per far male agli altri quanto a se stessa.
La ringrazio per avere dato voce a chi si scontra con il muro dell’indifferenza, a chi non ha la forza di imporsi fra i lupi. Poveri giovani. Che società di merda.
D’altronde una società che sforna professionisti (psicologi, medici, insegnanti etc. etc.) che fanno a gara a chi ha più attestati e partecipazioni a convegni dimenticando il vero ruolo umanitario e il soggetto dei loro studi, tutto risulta vano e sterile. Palloni gonfiati di gloria e di ego.
Una denuncia corale ed entusiasta.
Un libro bellissimo, intenso, sconvolgente che ci fa sentire meno soli e ci sprona a non arrendersi in nome di chi, dal Nord al profondo Sud, dall’Ovest all’estremo Est, tale forza non ce l’ha.
Tuttavia, sebbene la gravità della tematica trattata (suicidi fra i giovani, tema universale) sia forte, la lettura risulta scorrevole e trascinante per nulla triste e malinconica poiché lo stile è fresco e moderno e regala anche momenti di piacevole umorismo grazie all’abilità dell’autrice che, con intelligenza arguta e pensosa e una profonda e spesso indulgente simpatia umana, crea personaggi tanto amabili quanto bizzarri.
Una nota personale: l’ultimo capitolo intitolato “Io” mi ha riportato a rivivere la lettura di “Fuga nelle tenebre” di Arthur Schnitzler. Entrambe le narrazioni presentano uno stile di scrittura accelerata, sempre più incalzante e concitata al fine di travolgere i lettori nell’incontrollata emorragia di follia che trascina nell’inevitabile tracollo i giovani protagonisti delle due storie distanti nel tempo e nello spazio.
Ne “La Valle dei Fiori” la nostra giovane Inuit è troppo scura, troppo grassa, troppo per questa società di apparenze, di protocolli, di cartelle e di numeri.
Recensione di Patrizia Zara
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