LA VITA AGRA, di Luciano Bianciardi
Ecco uno di quei libri che si leggono un po’ col freno a mano tirato. Un testo un po’ spigoloso e impegnativo. Solo dopo averlo letto si può ricomporre il quadro e tentarne una seconda, virtuale lettura e magari una definitiva interpretazione. Lo si può leggere come un romanzo almeno in parte autobiografico dove l’autore racconta una fase della sua vita, come una analisi politica e sociologica della Milano dell’epoca o come una raffinata satira della vita di tutti noi o magari come tutte queste cose insieme.
Un libro pungente e ironico. Una lucida denuncia dei limiti della società del benessere e del consumismo lanciata quasi 60 anni fa. Il libro infatti è uscito nel 1962 e a quel tempo una voce dissonante apertamente critica verso la favola del boom economico era certamente improbabile e riservata a qualche avventuroso pioniere di quella sensibilità tipica della contestazione che sarebbe arrivata prepotentemente pochi anni dopo. Bianciardi del resto è stato il tipo dell’intellettuale ideologico e intransigente e questo libro è considerato la sua opera più importante, ha avuto un notevole successo e ne è nato un film molto noto.
La trama è piuttosto semplice. Il protagonista, io narrante del libro, lo stesso Bianciardi, si reca a Milano per lavorare alla redazione della nascente casa editrice Feltrinelli e si trova catapultato in un mondo che si muove con ritmi e regole completamente diverse da quelle a lui consuete nella sua Maremma. Non si abituerà mai completamente a questo nuovo universo ma riuscirà a sopravvivere a varie vicissitudini tra cui tre traslochi, un licenziamento e indicibili ristrettezze economiche.
C’è anche un nuovo amore nella sua vita milanese. Alcuni passaggi sono grotteschi e strappano un sorriso amaro. L’autore ci descrive con asciutta eleganza le modalità con cui si può cercare di evitare l’accesso al letturista del gas o l’insistenza dei venditori porta a porta o l’atmosfera cupa che si respira tra i viaggiatori di un tram che si guardano sospettosi come nemici. Il tutto nel nebbioso e suggestivo abbraccio della Milano che fu. Si troverà anche davanti al tetro palazzone dove ha sede la direzione della società proprietaria della miniera di Ribolla dove in quegli anni si è consumata la tragedia dello scoppio di grisù che causò la morte di 43 minatori. Davanti al palazzone il protagonista sogna di inalarlo dello stesso gas, il grisù, e di farlo saltare.
Finito il libro, dicevo. Si tirano le somme e non si sa se si è letto un romanzo o un trattato di sociologia. Comunque è un interessante e lucidissimo ritratto di un’Italia che si trova davanti al bivio del boom economico. Un bivio da cui non sarebbe stato possibile tornare indietro.
Un libro abbastanza breve da leggere senz’altro.
Recensione di Stefano Benucci
LA VITA AGRA, di Luciano Bianciardi
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