L’ALEPH, di Jorge Luis Borges
Un caleidoscopio metafisico per chi ama smarrirsi.
L’Aleph non è un libro, non solo perché è una raccolta di racconti, ma perché è un anti-libro.
La sensazione di vertigine attanaglia il lettore per tutta la durata della lettura. Un caleidoscopio si impadronisce delle sue emozioni, le storpia, le moltiplica in centomila spettri. Borges confonde il lettore, lo stordisce con la sua erudizione; quando però percepisce che egli è sul punto più vicino alla nausea, lo prende per mano e lo guida nella logica della perfezione, nella frase ad effetto che lo farà sentire al sicuro. Lo trascina dentro tutto quello che avrebbe voluto sentirsi dire, gli rivela che è tutta una finzione e che fuori dalla magia vi è un filo sottile e regolare che si chiama armonia.
L’antiletteratura è una sfida per chi la scrive ma lo è anche per chi la legge, per chi vi ci si imbatte e per chi la sceglie. Una sfida filosofica che coinvolge l’universo intero in generale e la propria anima in particolare.
Consigliato a chi ama smarrirsi nei meandri dell’illogica relazione fra fatti di ere diverse, ambientati in luoghi più o meno surreali, tutti legati da un fil rouge che è ricerca fra le righe e sopra di esse.
È un libro per chi vuole perdersi o lasciarsi trasportare da un precipizio all’altro. L’Aleph contiene il tutto ed il suo contrario: dice il tutto anche in quello che non dice, esprime la perfezione nell’imperfezione e la fantasia tramite la storia mescolata alla realtà, il passato nel presente e quest’ultimo nel futuro.
Perché il tempo non esiste e il cerchio del destino può essere racchiuso in un tempo infinito, inconoscibile e dunque nullo.
Recensione di Giusy Geraci
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