L’AMANTE, di Marguerite Duras
Fiorentina, la traduttrice ci fa assaggiare un testo della scrittrice francese Marguerite Duras, pseudonimo di Marguerite Germaine Marie Donnadieu (Saigon, 4 aprile 1914 – Parigi, 3 marzo 1996). Duras è il nome di un villaggio nel dipartimento del Lot e Garonna, dove si trovava la casa del padre con il quale cambiò il suo cognome nel 1943.
L’infanzia e la giovinezza di Marguerite sono state segnate profondamente dalla morte del padre, Henri Donnadieu, professore di matematica, avvenuta nel 1918: le successive difficoltà economiche, la difficoltà di allevare tre figli da sola, faranno della madre, Marie Legrand, una donna dura, ma anche fragile dal punto di vista psichico. A lei la figlia sarà legata da un rapporto contraddittorio di amore-odio: «Mia madre è stata per noi una grande pianura dove abbiamo camminato a lungo senza coglierne la misura», ci dice Marguerite nel “L’amante”. E ancora:
«Nei libri in cui racconto la mia infanzia, ad un tratto non so più che cosa ho tralasciato e che cosa ho raccontato, credo di aver parlato del nostro amore per nostra madre, ma non so se ho parlato anche dell’odio, di quanto ci amavamo e di quanto anche riuscivamo a odiarci, vivendo quella storia di rovina e di morte che era la storia della nostra famiglia, una storia fatta di amore e odio, che sfugge ancora ad ogni mio intendere, che mi è ancora inaccessibile, celata nella profondità della mia carne, cieca come un neonato il primo giorno».
Ecco che Marguerite osa dire quello che pensa, quello che prova, senza veli e pudori finti. I sentimenti nei confronti della madre, ma anche nei confronti dello sconosciuto, ancor più intrigante perché cinese, ricco e così lontano dal suo quotidiano. La relazione sentimentale inizia a circa 15 anni: Léo, che aveva studiato a Parigi, elegante, cortese, ma non affascinante viene a turbare la Marguerite. Il legame durerà solo un anno e mezzo, ma la storia diventa un’ossessione per la scrittrice francese che dopo “L’amante” la riprende in “L’amante della Cina del Nord” (1991) scritto nel momento in cui viene a sapere della morte dell’uomo.
Si trattò di un amore fin dall’inizio infelice: la famiglia di lui si opponeva perché Marguerite era una ‘bianca’, i familiari di lei disprezzavano ‘il cinese’, ma approfittavano cinicamente della sua ricchezza in un periodo per loro molto difficile. Quasi un accenno di crudeltà nell’incapacità della ragazza protagonista di ammettersi innamorata. Un’incoscienza che deriva da un’istintiva saggezza. La ragazza infatti sa fin dall’inizio che la storia con l’amante cinese, di molto più grande di lei, non può andare a buon fine. Un amore che si insinua nella sua vita nel momento in cui la coppia si divide come da sempre presagito. Un amore mai più ritrovato che riemerge potentissimo e delicatissimo alla fine del romanzo anche se la sua pelle, l’oggetto dell’adorazione del cinese, non è più quella di quando aveva quindici anni.
«Sono invecchiata a diciott’anni. Non so se succede a tutti, non l’ho mai chiesto. Mi sembra di aver sentito dire che qualche volta un’accelerazione del tempo può investirci quando attraversiamo l’età giovane, la più esaltata della vita. È stato un invecchiamento brutale. L’ho visto impossessarsi dei miei lineamenti a uno a uno, alterare il rapporto che c’era tra di loro, render gli occhi più grandi, lo sguardo più triste, la bocca più netta, incidere sulla fronte fenditure profonde. Invece di esserne spaventata, ho assistito a quest’invecchiamento con lo stesso interesse che avrei potuto prestare allo svolgersi di una lettura.»
Ora lei scrive libri:
«scrivere, o è mescolare tutto in un viaggio che ha per destinazione la vanità e il vento, o non è niente; o si mescola tutto in un’unità per sua natura indefinibile, o si fa soltanto della pubblicità. Ma molto spesso non ho un’opinione, vedo che tutti gli spazi sono aperti, come se non ci fossero più pareti, come se lo scritto non sapesse più dove andare per nascondersi, per strutturarsi, per leggersi.»
Ecco, viaggiate anche voi amici lettori, lasciatevi prendere e amate anche voi la scrittura di Marguerite, amata da Vittorini e Calvino, che ne avevano scoperto la bellezza prima ancora che scrivesse il suo capolavoro e successo internazionale che in Francia le è valso il Premio Goncourt.
I consigli del Caffè Letterario Le Murate Firenze, di Sylvia Zanotto
Commenta per primo