L’ANGOSCIA di RE SALOMONE, di Romain Gary
È questo uno dei romanzi che uscì sotto il nome di Émile Ajar , nel 1979, esattamente dopo Pseudo (1976) , La vie devant soi (1975) e Gros-Câlin (1974). Credo meriti fare qualche osservazione su questa “doppia vita” di scrittore di Romain Gary: del resto il suo nome originario non era neanche questo, bensì Roman Kacew.
Non sono in grado di fare supposizioni su quali ragioni profonde lo spinsero a servirsi di ben quattro pseudonimi diversi nel corso della sua attività letteraria, tanto da pubblicare in parallelo sia come autore affermato sia come emergente, senza che editori, critici e lettori sospettassero di lui. Solo dopo la sua morte fu svelata tutta la verità.
Dunque, perché questi camuffamenti?
Un po’ per sfida, per divertimento? Lui stesso scrisse: « Mi son divertito molto» (in “Vita e morte di Émile Ajar”)…
Viene comunque da pensare che gli “addetti ai lavori”, alcuni molto illustri, furono messi in scacco dal talento e dall’inventiva di un autore che dichiaravano …di conoscere bene e, magari, sotto un nome osannavano, e sotto un altro stroncavano!!
Fatta questa premessa, conviene farne un’altra: Gary è considerato, come scrittore, figlio della Shoah. La presenza della Shoah si ritrova in diversi suoi romanzi ed in questo in modo particolare. Ciò non vuol dire che nei suoi scritti rappresenti se stesso come ebreo o parli per esperienze personali, bensì molti suoi personaggi dimostrano una sensibilità ebraica, un “essere ebreo” nella mentalità.
E veniamo al romanzo in oggetto!
Troviamo fin dall’inizio due personaggi indimenticabili: Salomon Rubinstein e Jeannot. Il primo, ricco e austero nella figura, dal nome non a caso, impersona quasi un’immagine biblica di grande dignità, potenza vitale e saggezza, messe al servizio di un’istituzione che soccorre persone sole, infelici, abbandonate, moralmente depresse.
Il secondo è un tassista, “autodidatta dell’angoscia”, riparatore di varii impianti materiali e storture ecologiche, che diverrà discepolo dell’altro e volenteroso esecutore tanto da superare il maestro e riversare su di lui i suoi benefici.
L’angoscia dell’esistere dunque fa tutt’uno con la ribellione e la pietas (non compassione) : amore per l’umanità e per tutte le creature sofferenti.
Jannot dirà:” se c’è una cosa che ho imparato come autodidatta è che bisogna riparare nella vita” . Riparare è una metafora assoluta che impronta l’agire dei personaggi e vale come imperativo categorico morale e sociale: aiutando gli altri aiutiamo noi stessi o meglio “il senso acuto dell’umano”.
“Per vivere ci vuole umanità”.
Non si creda che tutto questo parlare e lottare nell’angoscia generi una lettura triste e lamentosa; anzi! Dobbiamo infatti fare i conti con il celebre humor (o humour, che dir si voglia) ebraico, ingrediente principale di una narrazione a volte paradossale, vivace, stravagante, tutta condotta con la voce del narratore Jeannot, ingenuo quanto pratico, autodidatta anche nel senso stretto di ricorrere al vocabolario tutte le volte che vuol esprimere un’idea più raffinata . E lo fa con risultati a volte dirompenti!
E del resto, Gary affermava che l’humour ebraico agli ebrei «serve da rifugio più che Israele» ed anche «Quel che piace a loro, lassù, non sono le nostre vittorie o sconfitte, ma la bellezza dei nostri sforzi». Per quanto donchisciottesca questa è la vera la bellezza dell’uomo.
( Mi è venuto da ricordare l’affermazione di una persona conosciuta occasionalmente molti anni fa : Dio è tutta l’allegria!)
Recensione di Maria Guidi
L’ANGOSCIA di RE SALOMONE, di Romain Gary
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