L’ANNO IN CUI IMPARAI A RACCONTARE STORIE, di Lauren Wolk
Può essere considerato sia romanzo di formazione, che psicologico, che giallo. L’esordio, in un ambiente rurale non privo di fascino, coinvolge il lettore e ne suscita la simpatia nei confronti sia della protagonista e della sua famiglia che di Toby, l’emarginato.
Mentre il racconto progredisce, traspaiono diverse tematiche: l’opposizione tra menzogna e verità in un contesto dominato dal disagio e dalla paura; quella fra tolleranza e intolleranza nei confronti di “nemici” reali o immaginari contro cui si appuntano il pregiudizio e la maldicenza collettive; quella tra l’essere ‒ nascosto e difficile da individuare ‒ e l’apparire, manifesto ma spesso ingannevole; quella del dialogo fra il mondo dei preadolescenti e quello degli adulti, alcuni dei quali sono percepiti come indifferenti o lontani.
Nella narrazione, poi, non manca l’aspetto dell’indagine poliziesca, un filone giallo che si apre con la scomparsa di Betty, quando per ritrovarla si mobilitano tutte le energie e tutte le intelligenze del paese. Rimangono tuttavia aspetti irrisolti, o appena accennati, specie nella soluzione finale, rispetto all’approfondimento della psicologia e della storia personale di un paio dei protagonisti, quelli sui quali si appuntano le maggiori attenzioni della narratrice: Betty e Toby. Nel momento dell’epilogo il lettore vorrebbe conoscerli di più, sentirseli raccontare più compiutamente, anche per comprenderne meglio le azioni.
Ho atteso tanto la lettura di questo romanzo. L’acquisto forse impulsivo per la copertina che mi aveva affascinato un po’ ha deluso le mie aspettative riguardo al contenuto… Pensavo di trovarci qualcosa di più non so se mi spiego.
Recensione di Lorenza Feriti
L’ANNO IN CUI IMPARAI A RACCONTARE STORIE Lauren Wolk
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