L’AVVERSARIO, di Emmanuel Carrère (Adelphi)
Recensione 1
Parla di una vicenda vera però romanzata, perché è un romanzo.
L’Avversario si capisce quasi subito chi è, ma non posso scriverlo qui perché sennò spolvero, e poi mi linciano.
Comunque è scritto bene perché di solito infatti lui scrive bene.
La storia è molto dura, davvero dura. Si fa fatica a leggere. Ma non perché è scritto male. No, è scritto bene, perché infatti lui scrive bene, di solito, anzi direi sempre.
Con “lui” intendo lo scrittore francese Emmanuel Carrère, non intendo l’Avversario, ossia il Demonio, che non si può dire in una recensione per non spolverare troppo, ma mi è scappato spiegando. Scusate.
Però non è un testo diabolico, è un testo buono. Perché Carrère a me sembra buono e scrive sempre questi romanzi di storie vere che ti mettono un po’ in crisi di coscienza perché i protagonisti non sono stinti di santi, ma poi capisci che è facile giudicarli e dire peste e corna. Ma che è più difficile capire le ragioni delle loro scelte e attraversare con loro il dolore.
Per me se volete attraversare un po’ di dolore questo romanzo è okay per voi.
Poi c’è anche il film con Daniel Auteil, che si legge Otej. Ma non l’ho trovato su netfly.
L’AVVERSARIO ☆ Emmanuel Carrère
Recensione di Marcello Ferrara Corbari
Recensione 2
Questo libro è un’esperienza molto particolare da fare. Più lo leggevo e più mi rendevo conto che suscitava in me un sentimento anomalo, un tipo di emozione che difficilmente una lettura genera e che andava oltre uno scomodo senso di disagio: credo che la parola più giusta sia imbarazzo. Leggendo ero assalita da un senso di vergogna, come un bisogno di lavarmi le mani.
Reazione patologica?
Forse no.
Carrière ricostruisce un fatto di cronaca che nel 1993 sconvolge la Francia e il mondo intero. Jean-Claude Romand, affabile e docile padre di famiglia, uccide senza apparente motivo la moglie, i figli e i genitori, poi tenta invano di suicidarsi. In breve tempo gli inquirenti scoprono che l’uomo non è affatto il medico che sostiene di essere, tutt’altro: per 18 anni Jean Claude è riuscito a portare avanti un inganno mastodontico, raffinato, fingendosi un prestigioso ricercatore dell’OMS al quale parenti e amici hanno affidato i risparmi di una vita con la promessa di vantaggiosi investimenti presso la banca di Ginevra.
Sul punto di essere scoperto, l’uomo preferisce sterminare la famiglia anziché affrontare le conseguenze delle proprie azioni.
L’autore cerca di dare una lettura psicologica a questi eventi, di comprendere quali meccanismi perversi possano indurre una persona all’apparenza gentile, remissiva come lo è Romand, a un gesto così efferato. Non c’è nessun tentativo di giustificare o riabilitare l’assassino, solo un grande “perché?”.
Per fare questo, Carrière entra in contatto con l’imputato, ha con lui degli scambi epistolari e sarà presente alle udienze del processo. Si appropria dell’unica prospettiva che rende possibile questo romanzo impossibile: considerare Romand non come un uomo che ha fatto qualcosa di agghiacciante, ma un uomo al quale è accaduto qualcosa di agghiacciante.
E’ da qui che nasce il mio senso di imbarazzo.
Non sono riuscita a fare mia questa prospettiva e nel corso della vicenda ci si accorge di come anche l’autore sia sempre più in difficoltà a mantenerla.
Non si può.
Si prova disagio quando viene descritta l’infanzia e la giovinezza dell’assassino, i primi fumosi segnali della sua tendenza alla menzogna, alla mitomania, le sue debolezze. Ma non solo. Anche “i buoni” in questa vicenda escono con le ossa rotte. Gli amici di una vita non sembrano accorgersi delle incongruenze, anzi accolgono questo ragazzo disadattato e piuttosto sgradevole sotto un’ala di buonismo e con la smania di apparire altruisti.
In tutte queste ricostruzioni personalmente non ho visto un mondo alieno, distante anni luce, quanto piuttosto me stessa o i miei vicini di casa. Il limite tra sano e patologico appare molto incerto e viene da chiedersi se davvero siamo certi di essere al sicuro.
Il finale pone molti interrogativi, teologici se si è credenti, etici se non lo si è.
Purtroppo ci ho visto un impostore che in qualche modo è riuscito a cavarsela, un bugiardo che non sa di mentire ma che nemmeno fa lo sforzo di accedere alla verità, un uomo che è passato da un simulacro di se stesso ad un altro: da facoltoso ricercatore a tragico assassino in cerca di redenzione.
Ho terminato la lettura piena di inquietudine e amarezza, ma altrettanto colma di riflessioni che prima ad ora non avevo mai affrontato, o almeno non in questi termini. Da questo punto di vista, un libro consigliatissimo.
Recensione di Nicoletta Tamanini
Recensione 3
Immagina di dire una menzogna. Poi immagina di dirne un’altra, per coprire la precedente. E poi altre, altre ancora, fino a costruirci una vita intera. Alla fine, l’angoscia ti stringe lo stomaco: il tuo inganno sta per essere scoperto, sei intrappolato in un vicolo cieco. E la paura di veder crollare questo castello di carte, di deludere e far soffrire le persone che ami, sono tali da portarti al compimento del gesto più folle e agghiacciante: l’uccisione del coniuge, dei figli e dei genitori.
È la storia, vera, di Jean-Claude Romand, che per diciotto lunghissimi anni ha fatto credere a tutti di aver conseguito una laurea in medicina e di lavorare come ricercatore presso l’Organizzazione mondiale della sanità, a Ginevra. Ha finto di essere un uomo importante, che gira il mondo, che partecipa ai congressi, che viene ospitato a cene sontuose.
Gli amici e i parenti, increduli e annientati, non si capacitano di come abbiano potuto essere stati catturati in questa ragnatela di inganni, senza nutrire mai alcun minimo sospetto.
Non si tratta di una trama di fantasia, ma di un fatto di cronaca realmente accaduto. Il giornalista Emmanuel Carrère, colpito e “affascinato” dalla vicenda, decide di scriverci un libro. Per farlo, contatta l’assassino, instaura con lui una corrispondenza epistolare e assiste al processo.
Dall’infanzia agli anni dell’adolescenza, dall’università al mondo del lavoro, guardiamo l’evoluzione di Romand, dal bambino solitario che era, fino all’uomo, marito e padre di famiglia che è diventato, stimato ed apprezzato da tutti.
È una storia talmente incredibile e cruda che diventa persino difficile giudicare il romanzo verità di Carrère, che cerca di spiegare l’inspiegabile, lasciando dentro di noi una sola certezza: quanto sia sempre più sottile il confine tra il bene ed il male.
Recensione di Chiara Castellucci
L’AVVERSARIO Emmanuel Carrère
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