LE BALLATE DI NARAYAMA, di Shichirō Fukazawa (Adelphi – giugno 2024)
Edito meritoriamente per la prima volta in edizione italiana dall’originale giapponese (la precedente versione, degli anni Sessanta, era stata tratta da quella francese) è un libro che si trova al crocevia tra i generi: ha le caratteristiche di un romanzo, la brevità di un racconto e mentre l’universo presentato dall’autore Shichiro Fukazawa è immaginario, contiene anche una raccolta di varie canzoni, preferito mezzo di espressione per gli abitanti di questo piccolo paese annidato nel cuore delle montagne.
Sebbene i residenti cantino per condividere le loro esperienze quotidiane ed educare le giovani generazioni alla vita e alle usanze del villaggio, la vita è tutt’altro che facile. Ogni giorno è difficile perché lì non cresce praticamente nulla. Il riso scarseggia e tutti sono invitati a mangiare con parsimonia. La paura di restare senza nulla e di andare incontro alla carestia è notevole, per cui ognuno si arrangia come può e le persone si dividono in gruppi diversi: ci sono i prudenti – che aumentano le proprie riserve – i partecipi, gli avari, ma anche i ladruncoli. Al centro di tutto questo ci sono due protagonisti: Orin, una vedova di 70 anni, e suo figlio Tatsuhei, anche lui vedovo e padre di quattro figli.
Shichiro Fukazawa presenta la loro storia e l’ultimo viaggio di Orin: il pellegrinaggio a Narayama. Per evitare di diventare un peso sia per la famiglia che per la comunità, tutti i residenti oltre i settanta anni devono recarsi sulla vetta del monte Narayama, conosciuto come ‘la montagna delle querce’, per morire. Nonostante sia un luogo immaginario, Narayama mette implicitamente in discussione la posizione degli anziani nella società giapponese e il romanzo si presenta come un’ottima lettura, specialmente per gli appassionati della letteratura del Sol Levante. Conclude il volume una bella postfazione del curatore.
Il romanzo, pubblicato nel 1956 e il primo scritto dall’autore, è stato adattato per il cinema due volte, prima da Keisuke Kinoshita nel 1958 e poi da Shohei Imamura nel 1983. Questo secondo adattamento è stato premiato con la Palma d’oro al Festival di Cannes nell’anno della sua uscita.
Recensione di Moreno Migliorati
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