LE CAMPANE DI BICÊTRE, di Georges Simenon
Un uomo di successo è vittima di un colpo apoplettico e si risveglia nella stanza di un ospedale: impossibilitato a relazionarsi con gli altri, a causa della momentanea paralisi, si lascia trasportare dalle sensazioni che gli evocano i suoni e le voci che giungono alle sue orecchie, dalle campane in lontananza alle parole dei medici che lo rassicurano sulle probabilità di guarigione.
A quel punto, però, il protagonista si accorge che non desidera tornare a far parte della vita attiva, che la sua forzata permanenza in quel limbo di inattività e silenzio gli ha mostrato l’inutilità e la vanità di un’esistenza scandita da ritmi lavorativi che non arricchiscono altro che il portafoglio, relazioni sociali superficiali e tutto adesso, da questa nuova prospettiva, gli appare futile, mentre scopre il piacere di osservare l’umanità che lo circonda e si sofferma a riflettere su se stesso come uomo, come marito, come padre, rimanendo, per lo più, deluso nel constatare i suoi risultati.
Simenon tratteggia, in questo romanzo, un nuovo ritratto di un uomo in fuga, che sceglie come modo di ribellarsi un’immobilità che dapprima è forzata, poi è scelta consapevolmente: la sua è una fuga originale, dapprima non meditata ma poi cosciente, che lo trasforma da attore a spettatore, in una condizione “pirandelliana” che lo porterà poi a dover riaffrontare l’inevitabile rientro nei ranghi.
Uno dei romanzi più originali e interessanti di Simenon, piacerà a chi ama le letture introspettive.
Recensione di Valentina Leoni
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