LE CONSEGUENZE, di Richard Russo (Neri Pozza)
Tre amici si ritrovano sull’isola di Martha’s Vineyard per trascorrere insieme un fine settimana; sono passati oltre quarant’anni da quando, proprio durante un weekend sull’isola, è scomparsa la loro cara amica Jacy, il quarto ‘moschettiere’.
Correva l’anno 1971, la laurea era alle porte e la contestazione per la guerra in Vietnam era in pieno svolgimento…
Che fine ha fatto Jacy?
Per rispondere a questa domanda, Richard Russo tesse una trama avvincente, costruita come un giallo, che poco a poco ci porterà verso la soluzione.
Tuttavia, mentre lo leggevo, il mio crescente trasporto era dovuto a un altro aspetto: non era alla soluzione in sé che volevo arrivare. Le trame prima o poi si dimenticano, alcuni particolari sfumano. È passato più di un anno da quando ho letto questo libro, ma questo lo ricordo molto bene: volevo sapere, certo, ma più che il “cosa” fosse successo, volevo sapere “come” gli accadimenti, le decisioni di una lontana estate di quasi cinquant’anni prima, avessero influito sulle vite dei personaggi del libro. Volevo sapere perché. Volevo conoscere “le conseguenze” delle loro scelte.
“A lui e ai suoi amici non spettava una seconda giovinezza, proprio come non spettava loro una seconda possibilità di far bene le cose”.
Sarà che ho sempre avuto un debole per i bilanci generazionali, per gli incontri e i ritrovi in stile “come eravamo”.
Sarà che amo i cambi di prospettiva e i ribaltamenti di ruoli (come ne “I ragazzi Burgess” di Elizabeth Strout e nel magistrale “Il declino dell’Impero Whiting” dello stesso Russo, ma anche i più recenti “Ohio” di Stephen Markley e il sontuoso “American Pop” di Snowden Wright).
“Capire bene la gente non è vivere. Vivere è capirla male, capirla male e male e poi male e, dopo un attento riesame, ancora male. Ecco come sappiamo di essere vivi; sbagliando. Forse la cosa migliore sarebbe dimenticare di aver ragione o torto sulla gente e godersi semplicemente la gita” scrive Roth in una scena chiave di “Pastorale Americana”, che ha luogo (ma dài?) proprio durante un ritrovo di ex-alunni.
Sarà che il tema dell’amicizia che attraversa i decenni è eterno ed immortale, per la letteratura come per il cinema (da “il grande freddo” a “gli amici di Peter”, da “Come eravamo” a “Fandango”, passando per “La meglio gioventù”, e poi…e poi…e poi…).
Sarà che uno dei tre-quattro film della mia vita è “C’eravamo tanto amati”.
Sarà che una delle scene più belle di un film come “Il cacciatore” non è, secondo me, quella della roulette russa, ma la veglia funebre finale, in un silenzio complice e assordante.
Sarà che amo le rese dei conti, il momento in cui il passato affiora e ci sbatte in faccia la sua verità; una verità che credevamo sepolta, spenta, come “le braci” di Marài, o addirittura una verità che non conoscevamo affatto e che ci costringe a rimettere in discussione tutto, persino noi stessi (come in “Espiazione” di McEwan e lo struggente “Il senso di una fine” di Julian Barnes).
Sarà che sono sempre stato attratto dalla nostalgia – a patto che non trascenda nel patetico – e dalle storie di amici che si tendono la mano attraverso la “nera schiena del tempo”, come nel meraviglioso “La casa dei Gunner” di Rebecca Kauffman.
Sarà che i libri che più facilmente porto dentro di me sono quelli che non forniscono risposte, al contrario mi lasciano con delle domande: “Che ne ne è stato delle nostre vite? Cosa ne possiamo ancora fare?”.
Sarà per una, o tutte queste ragioni che ho amato profondamente “Le conseguenze” di Richard Russo.
Recensione di Valerio Scarcia
LE CONSEGUENZE Richard Russo
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