LE CURE DOMESTICHE  Marilynne Robinson

LE CURE DOMESTICHE, di  Marilynne Robinson (Einaudi)

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“Ci sono libri che scappano di mano”, scriveva molto bene Nadia Terranova qualche mese fa, a proposito del (bellissimo) libro di Tommaso Pincio, ‘Diario di un’estate marziana‘. “Forse sono proprio quelli i libri migliori”.

“Le cure domestiche” di Marilynne Robinson, suo esordio nella narrativa nel 1980, mi è scappato di mano più di una volta.

Sarà per lo stile, perché Robinson è capace di scrivere con parole di fuoco, che scaglia come dardi infuocati contro il cielo notturno, illuminandolo a giorno; subito dopo, appena tre righe più sotto, la lingua diventa morbida e profumata, come il bocciolo di un fiore.

Sarà perché è un libro in cui non è quel che accade, l’importante. L’educazione, l’infanzia e la crescita di due sorelle del Midwest, che passano dall’abbandono della madre alle cure della nonna, poi delle zie. Fino al ritorno della zia Sylvie, la vagabonda, sorella della loro madre, che nel frattempo ha messo fine alla propria vita gettandosi nelle acque del lago.

Ci tocca dentro, questo libro. “Le cure domestiche” diventano le cure dei sentimenti, cioè quello che ci muove verso gli altri.

Crescere vuol dire osservare, sperare, desiderare. È l’attesa di un ritorno, l’elaborazione di una perdita, la reazione a uno strappo, a una separazione.

Accade che questo e quell’altro mondo sono in stretta connessione, in queste pagine. Il “qui e ora” si scioglie, si sovrappone al possibile, si mescola con il ricordo, la realtà si fonde con il sogno.

La caducità della vita, la conservazione, la cura delle “case”, quelle fisiche e quelle metaforiche, l’oblio a cui siamo condannati, insieme agli oggetti che ci circondano. C’è tutto questo, e molto altro, in questo libro.

Leggiamo, nella straordinaria antologia “Americana” di Luca Briasco, di quanto in America i critici si siano sbizzarriti, all’uscita di questo libro, a individuare i punti di riferimento letterari e poetici di Robinson (Thoreau, Dickinson, Morrison, Keats, Whitman, Eliot).

Io trovo, in queste pagine, i semi della scrittura di autrici contemporanee, come Jasmine Ward e Rebecca Kaufman. Ma soprattutto, di Tiffany McDaniel, per quel continuo richiamo alle vicende bibliche, quel filo diretto che ci unisce alle cose passate, quella attitudine a immergersi nel mito, attingere ad un tessuto di storie, radici, suggestioni, che vengono da molto lontano. Per avere, entrambe, la capacità di maneggiare questo tessuto, plasmarlo, modellarlo, farne materia viva e consegnarlo nelle nostre mani. Prima che ci sfugga, di nuovo.

Marilynne Robinson

“Le cure domestiche”

Einaudi.

Recensione di Valerio Scarcia

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