LE INTERMITTENZE DELLA MORTE, di José Saramago
Recensione 1
Io so già che sarò tacciata di parlare nuovamente di un romanzo che ha dominato in questi ultimi mesi le pagine del web.
Un’inflazione, una tortura, ennesima recensione dell’ennesimo libro, ripetuta come un numero periodico.
Gelosi delle loro letture da premio Nobel, letture che devono necessariamente essere incomprensibili ai lettori plebei che per amore di crescita intellettuale, e non solo, si avvicinano a tali più alti gradini, i pseudo intellettuali storceranno il naso scorcertati dalla puzza di esurpazione, di inganno, di mediocrità. Giacché è così, non si dica il contrario per non offendere una verità evidente, certe letture non si possono divulgare alla massa, ne perdono il valore, la peculiarità, l’originalità, il posto riservato ai patrizi, devono rimanere precluse, benché gli stessi intellettuali dicano il contrario dall’alto della loro “cattedra”.
Ma non è cosi, fortunatamente lo conferma nei suoi romanzi il nostro premio Nobel José Saramago che, con eccezionale vivacità creativa, ridicolarizza ogni forma bassa, media e alta dell’essere umano. Allora ben venga non una ma cento, mille recensioni, non uno ma cento e mille commenti…
Pertanto, ecco, dall’alto o basso fate voi della mia comprensione, l’ennesima presentazione dell’opera in questione…
Giocando con un’immaginazione quasi onirica e utilizzando una scrittura continua agganciata alla forma scritta e parlata di un passato continuativo nel presente, José descrive l’essere vivente nelle vesti di uomo sociale come un individuo afflitto da paure e gioie, suggestionato da credenze e tradizioni, infagottato in modi di dire, imbrigliato nella sua storia e nella sua esistenza catapultandolo in situazioni paradossali che rimbalzano nel muro della sua ottusa memoria, nel suo egocentrismo, nella grande rete economica a effetto domino e nella fede costruita a tavolino per colmare i buchi neri del mistero della nascita e della sua dipartita.
Incoerntenente, ambiguo nei suoi sentimenti, pretenzionalmente arrogante nei suoi alti ranghi gerarchici e pietosamente servile nei suoi ruoli comuni, José fa dell’uomo un essere talmente piccolo e meschino in tutte le sue manifestazioni tanto da far scappare una placida risata allo stesso lettore dal momento che, rendendosi conto di essere anch’egli un granello di polvere destinato a disperdersi nell’immensità dell’universo, comprende che l’unica forma di salvezza è la capacità di sognare e immaginare, di dare forma alla fantasia, giacché, in fondo, l’esistenza non è altro che un gioco di note alte e basse postate in un pentagramma che dovrebbero essere suonate con abilità e con passione affinché il suono risulti melodico e non una stridente stonatura.
Lo sa bene la nostra “morte settoriale”, protagonista della vicenda, che per conoscere il violoncellista, inconsapevole artefice del cambio di programma narrativo, ma in fondo un uomo mite, abitudinario e solitario nei suoi assoli, assume le sembianze di una donna bella e misteriosa cambiando le regole del gioco.
Divertendosi con i miti e leggende, il romanzo di José ci mette di fronte alla presenza di una morte insolita pronta ad abbandonare il suo sudario, i suoi capricci e la sua insolenza, giacché questa morte, settoriale e non universale quantunque onnipotente, onnipresente e finora infallibile, non ha fatto i conti con l’imprevedibilità di quel dio birichino di nome Eros capace di insinuarsi anche nelle sue gelide ossa, ripristinando i battiti del suo arido cuore, pulsazioni sfiorati dal volo soave e quasi inudibile di una farfalla, non certo una farfalla qualsiasi ma precisamente l’acherontia atropos, che suggellano l’incontro fra la vita e la morte, doloroso e sublime preludio dell’immortalità.
Recensione di Patrizia Zara (30 Luglio 2020)
Recensione 2
Lo stile di questo autore è unico, meraviglioso; la punteggiatura quasi inesistente, la maiuscole assenti, i segni dei dialoghi mancanti rendono il testo di non immediata e facile lettura al lettore che per la prima volta si avvicina alle opere di questo autore; eppure le storie sono intriganti, originali e ricche di fantasia.
Le intermittenze della morte è un romanzo intelligente e originale, i luoghi e il tempo, come spesso accade per questo autore, non sono ben definiti come nelle favole. Ma a stravolgere la vita del paese è la morte che smette di visitarlo, da questa inverosimile e assurda situazione, l’autore prende per mano il lettore e lo fa riflettere sui temi centrali della nostra vita e sullo nostra condizione.
Senza la morte, l’uomo ha raggiunto la vittoria più grande: l’immortalità! Inizialmente tutti si abbandonano all’entusiasmo per la sconfitta della morte, ma per poco, infatti la paura di non morire e di essere pertanto costretti a vivere per forza genera il terrore; perché sì la morte non c’è più, ma le malattie, gli incidenti continuano e tante vite rimangono intrappolate in una condizione sospesa di non morte che è forse peggio della morte stessa!
E non solo, anche socialmente l’assenza della morte produce inconvenienti, falliscono le assicurazioni sulla vita, gli ospedali traboccano di malati che non guariranno mai ma non moriranno, le industrie delle pompe funebri non avranno più clienti …e la chiesa stessa, la religione non avranno più senso senza la paura della morte.
Ma niente paura la morte tornerà e ristabilirà il suo ordine. Un romanzo per riflette
Recensione di Patrizia Franchina
LE INTERMITTENZE DELLA MORTE José Saramago
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