Il PASSAPAROLA DEI LIBRI HA INTERVISTATO Davide Ferraris della libreria Therese Torino
Parlateci di voi. Chi siete e quando nasce la vostra attività?
La libreria nasce nel 2007 e a fondarla è Davide, libraio di formazione classica, con esperienze maturate fin dal ’95 in varie librerie torinesi. Sara arriva nel 2014 portando un’esperienza di organizzazione eventi e ufficio stampa maturati in fondazioni a carattere culturale.
Che tipo di lettori frequenta la vostra libreria?
La nostra è una libreria di quartiere per cui è frequentata trasversalmente. Il quartiere è popolare ma è anche sede di università per cui il pubblico è molto variegato, c’è poi chi viene da lontano per muoversi tra le nostre scelte caratterizzate da una particolare attenzione alla narrativa per adulti, ragazzi e bambini ma soprattutto per seguire gli eventi
Lettori si nasce o si diventa?
Lettori si cresce, nel tempo, a partire dalla culla. Se nella culla non avete iniziato però non bisogna perdersi d’animo, il primo passo può essere fatto in qualsiasi momento, anche quando non si è mai aperto un libro se non perché costretti dalla scuola. Tutto sta nello scoprire che li dentro c’è qualcosa che ci riguarda.
Essere librai nel 2019: che cosa è cambiato nel mestiere del libraio e nel ruolo del lettore, negli ultimi anni?
E’ cambiato praticamente tutto, un tempo il libraio passava la maggior parte del suo tempo nella gestione tecnica della libreria, doveva mantenere un magazzino, stare dietro al ciclo delle uscite, servire i clienti che spesso aspettavano fuori dal negozio prima dell’orario di apertura, e non era indispensabile, ad esempio, che fosse un lettore, l’importante era che sapesse far funzionare la rotazione. Un lavoro tecnico, appunto. Erano i tempi in cui parlare di libreria indipendente non significava nulla, tutte le librerie erano indipendenti e ognuna copriva una porzione di territorio. Non stiamo parlando di secoli ma giusto di una quindicina di anni fa.
Il libraio è diventato sempre più un operatore culturale e in questo non è diverso da chiunque operi nel commercio al dettaglio, deve conoscere il prodotto e farsi garante della sua qualità, deve avere ben presente la sua comunità di riferimento, alimentarla, e lasciarsi alimentare da lei.
Lettura e reti sociali: che cosa ne pensate di questo binomio? Si può essere “social” continuando a essere lettori? Quanto e come siete presenti sulle reti sociali e che impatto hanno queste sulla vostra attività?
Ognuno oggi è social, lo siamo naturalmente anche noi. L’impressione è però che la comunità reale e quella virtuale dialoghino poco, noi sui social siamo abbastanza ben posizionati, dedichiamo una giusta parte del nostro tempo cercando di dare un’immagine il più possibile rispondente alla nostra comunità reale che rimane quella che ci interessa di più.
L’impatto è spesso indiretto: è più importante ad esempio per un editore sapere che una libreria comunica efficacemente che non per un lettore, l’editore ti coccolerà in maniera diversa, il lettore andrà in ogni caso a comprare il libro vicino a casa propria.
Nel nostro gruppo ci sono titoli che ormai hanno raggiunto lo stato di “libri di culto” o veri e propri tormentoni, come Il caso di Harry Quebert o la Saga dei Cazalet, non sempre a causa della loro qualità artistica ma grazie, soprattutto, a un passaparola costante sulle reti sociali: quali sono i titoli il cui successo vi ha maggiormente stupito e che idea vi siete fatti del motivo di questo successo?
Ogni megaseller nasce da un’esigenza del pubblico, è troppo semplicistico -e anche un po’ mortificante- pensare che certi successi siano indipendenti dagli interessi ma che vengano in qualche modo pilotati. C’è una conversione di scelte su un titolo a discapito di altri, questo è certo ma credo che questo dipenda da una certo calo della curiosità. E’ qui che la rete ha fallito, si pensava potesse alimentare la curiosità intellettuale, ha invece finito per diventare un luogo nel quale ci si parla addosso. Non si cerca per cercare, si vuole la risposta immediata ed è molto più facile fornire o accettare una risposta stereotipata piuttosto che spingere le persone a cercare la propria.
Il titolo che più ci ha fatto soffrire veder diventare un tormentone è, senza dubbio, “Fai bei sogni” di Massimo Gramellini.
Qual è il titolo che, secondo voi, diventerà il prossimo “tormentone”?
Leoni di Sicilia ha ottime possibilità per diventarlo.
In molti, sul nostro gruppo, si lamentano del fatto che è diventato molto difficile invogliare alle lettura i giovanissimi: in base alla vostra esperienza è vero che i ragazzi leggono sempre di meno? Esiste una strategia che scrittori, librerie, case editrici o chiunque abbia a che fare con giovani lettori potrebbe utilizzare per interessarli di più?
No, non siamo d’accordo. I ragazzi leggono certamente più degli adulti, il problema è che a un certo punto c’è una frattura, la scuola ci si mette di mezzo riempiendo la lettura di paroloni e concetti che spesso c’entrano poco con il vero motivo per cui si legge. Il cosiddetto mondo intellettuale poi rincara la dose, continuando a ripetere slogan patetici, tipo che un uomo che legge ne vale due.
Leggiamo perché ci appassiona, è una scelta di pancia, non di testa, poi viene tutto il resto. Invertendo l’ordine di questi fattori il risultato cambierebbe di un bel po’.
Come vi ponete nei confronti della lettura digitale? La considerate una risorsa o una minaccia per la vostra attività e per il futuro dell’editoria?
La consideriamo un cambiamento inevitabile con cui fare i conti ogni giorno. Crediamo ci sarà sempre chi preferisce la carta e crediamo nel valore che la libreria può avere in quanto luogo di costruzione di una comunità. Bisognerà vedere se questo sarà sufficiente.
Consigliate un libro, secondo voi imperdibile, ai nostri lettori.
Perdetevi negli scaffali di una libreria, siate curiosi, toccate i libri, metteteci il naso dentro, cercate la vostra strada, non ce n’è una, ognuno può trovare la propria.
redazione@unlibrotiralaltroovveroilpassaparoladeilibri.it
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