LE MAESTOSE ROVINE DI SFEROPOLI, di Michele Mari (Einaudi – settembre 2021)
Pronti per affrontate un lungo viaggio, ci apprestiamo ad attraversare le rovine di una città fantastica, affidandoci alle dettagliate indicazioni che ci vengono suggerite da una cartina stradale dalla geografia irreale.
Pensieri che rivelano il sapore onirico di un viaggio incantato, generato dalla mente fantasiosa di un autore acrobata, funambolo, equilibrista e talentuoso giocoliere delle parole.
Benvenuti a Sferopoli.
È il messaggio di accoglienza che un cartello bianco scritto con lettere nere e consumato dalla ruggine, ci comunica il posto in cui ci troviamo.
Ma solo guardandoci intorno, è subito chiara la rivelazione che ci vede proiettati in un magnifico posto, dove la razionalità svanisce nelle sue distese, e le paure lasciano spazio al coraggio, mettendo alla prova le nostre capacità che si predispongono al fascino dell’ignoto.
Una via che è segnata dalla fatalità del suo destino, una guida dove l’autore ci conduce attraverso le vie oscure della SP 921, incamminando lo sprovveduto lettore in un viaggio dove la logica non ha dimensione, e dove il sogno e la sua laboriosa attività, generano, plasmano, e danno un senso alla materia che si anima, che si forma e si trasforma, attraverso l’operato di strane creature concepite dall’argilla.
Come Dio, che a sua immagine creò l’uomo, così a sua immagine e somiglianza, nella bestemmia, quelle creature lo imitano, dando sfogo ad una forma di riproduzione della sua potenza, esprimendo così una certa soggezione religiosa.
Ma come l’invocazione, assume forme e comportamenti imprevedibili, così il nostro viaggio, tra la leggenda e la superstizione, si fa strada assumendo un linguaggio che ha il colore antico di una poesia di altri tempi, dove la letteratura assume la perfezione, nella sua maestosa essenzialità.
Sebbene per alcune uomini, in vita, è difficile ricevere servigi o benefici di meritoria importanza, da defunto c’è sempre qualcuno che trova, per amor di qualche fortuita benevolenza o ad opera di grazia ricevuta, chi prega per la sua anima ormai estinta, e che vede nel purgatorio non la sua ultima dimora, ma il presupposto per l’ascesa ad una così tanto agognata posizione in paradiso.
E così che un teschio o “capuzzella”, appartenente a chi sa quale illustre signore o sfortunato cavaliere, riemerge dalla genialità delle parole che solo la mente sa concepire, e la carta sa conservare.
È questo il racconto di una materia tangibile e impalpabile, che si genera e si plasma, si decompone e si compone in una nuova forma elastica, e lascia il sapore amaro che assume le sembianze di un destino umano.
Chi siamo, dove andiamo, cosa incontreremo e cosa il fato ci ha riservato senza che si prenda gioco di noi, sottomettendoci alla nostra triste sorte, che ci intimorisce attraverso le nostre stesse paure, e si fa beffa delle nostre passioni.
Che siano concepite, attraverso la comprensione di delicate note, provenienti da una soave composizione di un infante e illustre creatore, o dal complicato aroma, che emana un cremoso formaggio, elaborato dall’attività frenetica di una insignificante muffa chiamata per sua rilevanza, Penicillium.
Sono queste contraddizioni, che racchiudono il senso oscuro di un pensiero dualistico che descrive l’ambiguo e il misterioso fascino che se ne trae dall’armonia e dalla dissonanza, dal buon odore o dalla puzza, dell’incantevole senso della vita e l’infinita tristezza della morte.
Passeggiando tra le paure che un sogno custodisce, e il racconto di un tema dalle sfumature raccapriccianti, si lascia lo spazio alla meditazione, sulla letteratura e sulla lingua, perché come qualcuno afferma, essa racchiude il segreto della morte e il potere della vita; e che quelli che l’amano ne mangeranno i frutti, poiché la nostra vita è influenzata nel bene e nel male dalle nostre parole, e dal modo in cui noi stessi ne parliamo. Trovando anche nella sua ironia, la consapevolezza di una riflessione acuta.
Difficile da concepire come tra una parata di sensazioni che vedono interessare l’udito, il tatto, l’olfatto e la vista, è sempre la parola che ne determina le leggi della comunicazione, permettendoci di avvicinarci a tutto ciò che è reale, e percependo la letteratura come una sua stretta e fedele alleata nell’espressione linguistica.
Tra queste pagine è possibile intravedere quella mappa del probabile, nelle quali smarrirsi è l’unico modo per mettersi in salvo.
Una collezione di fantasmi, sogni e superstizioni; credenze popolari che ritornano in vita intrise di fantasticherie letterarie, operazione che all’autore viene facile da sempre leggendo le sue opere, stupendo il lettore ma soprattutto sé stesso.
Stupore che riesce a materializzarsi in una forma letteraria breve impregnata della sua stessa poesia. Prosa che identifica alcuni scrittori italiani del Novecento che vede il legame con autori confinati all’oblio, ma che è doveroso in questa situazione citare; autore nobile che risponde al nome di Gesualdo Bufalino.
Ma è solo dai resti di una civiltà sotterrata, che meticolosamente l’autore, rispolvera le parole che sembrano essere ritornate alla luce dopo un lungo e polveroso sonno, abbandonate sotto detriti e macerie di un linguaggio moderno, lasciando solo la polvere che si perde in un soffio vento.
Buona lettura.
Recensione di Giuseppe Carucci
LE MAESTOSE ROVINE DI SFEROPOLI Michele Mari
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