LE VOCI DELLA SERA, di Natalia Ginzburg (Einaudi)
C’è un concetto a me molto caro: la superficie. Essa non è sinonimo di superficialità né di apparenza. La superficie mostra le cose per come appaiono ai sensi, senza interpretazioni, senza immaginazione. Solo percetti e forme.
Eppure, la superficie ha una profondità, contiene molte cose, molte rivelazioni, più di quante ne può contenere il sommerso: gli odori, i movimenti, le parole, i suoni, il calore, il freddo, il ruvido, il dolce, l’amaro, il tremore della paura, l’umido degli occhi della commozione, il rosso infuocato dei volti della rabbia.
Natalia Ginzburg è certamente la scrittrice della superficie, perché riporta le cose per come appaiono ai suoi sensi e l’implicito dei racconti della sua penna leggera trasudano un’inesauribile profondità.
È il suo quarto libro che leggo ed è sempre la stessa immensa potenza letteraria, fatta del narrare della vita senza interpretazioni, senza fronzoli o addobbi stilistici, perché è la vita stessa che si dispiega, si racconta attraverso le parole della Ginzburg, che si rivela, che si mostra in ciò che ha da significare al lettore.
La Ginzburg ha l’acume sensibile di un letterato che è capace di selezionare quanto di utile e universale, mai banale, c’è da cogliere, nei dialoghi, nelle situazioni, nelle dinamiche e offrirle in scrittura asciutta al lettore che da lei riceve sempre la garanzia di esercitare, leggendo pagina dopo pagina, la propria libertà di pensiero, senza suggestioni.
Ne “Le voci della sera” stavolta racconta una famiglia borghese e lo fa nel suo modo inconfondibile che tanto mi è caro: questo breve romanzo è delicato, intelligente, sobrio, brillante come tutti i suoi scritti che ho avuto la gioia di leggere fino ad ora d’altronde.
C’è il rapporto tra una madre e una figlia, tra la superficie e la superficialità e su come la profondità appartenga all’una ma non all’altra.
Ci sono le storie di cinque tra fratelli e sorelle e ci sono a sua volta cinque caratterizzazioni di personalità che raccontano le persone della borghesia del secolo scorso, tra scelte di coppia, di lavoro e di politica.
E ci sono Elsa e Tommasino, la prima la figlia di quella madre superficiale e quest’ultimo uno di quei cinque, dai quali non c’è che da imparare moltissimo su come sia importante e necessario distinguersi e rimanere integri nell’amore, nelle relazioni, nelle comunità. Due personaggi bellissimi.
Sono certa che se lo rileggessi di nuovo una, due, cento volte questo breve spaccato di storia di una famiglia borghese italiana che vive l’amore, l’amicizia, il lavoro e la guerra, trarrei sempre infiniti cenni di bellezza e profondità, che già ad una prima lettura mi sono sembrati inesauribili.
Perché la superficie delle cose, scrive Calvino suo illustre amico, è inesauribile.
Come inesauribile, anche dopo questa quarta sua opera letta, è la mia ammirazione per la Ginzburg.
Recensione di Marta Onirici
LESSICO FAMIGLIARE Natalia Ginzburg
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