L’ERBA CANTA, di Doris Lessing
Ho scelto questo romanzo perché tradotto dalla Saracino, anglista che avevo molto apprezzato nella traduzione di “The Ramains of the day” di Ishiguro. La Saracino sceglieva i testi da tradurre personalmente ed era un’estimatrice di Doris Lessing, britannica, vissuta in Sudafrica.
Questo è il suo primo romanzo che l’ha consacrata nel ventaglio delle scrittrici più influenti del XX secolo, tanto da ottenere il Nobel nel 2007.
Lo scritto è un esercizio di empatia e di immedesimazione per via della descrizione nuda e cruda di vissuti emotivi complessi dei tre protagonisti, Mary, la moglie, Dick, il marito e Moses, il boy. Ma è anche un romanzo che pone i riflettori sul peso della società post coloniale britannica sulle vite dei singoli, bianchi e neri, sullo sfondo di un aspro Sudafrica, vertice di un continente triangolare duro e difficile, popolato dagli indigeni (così i bianchi chiamano la popolazione autoctona) a cui non è permesso parlare neanche inglese, considerata un’insolenza.
I neri (gli indigeni) possono solo aspirare nelle loro miserabili vite ad essere forza lavoro, al limite dello schiavismo, nei campi che i bianchi hanno loro depredato, buscando solo le briciole degli ingenti profitti ottenuti dai colonizzatori grazie alla coltivazione massiva del tabacco e del granoturco.
Di tutto questo Mary non ne sapeva nulla fino al giorno in cui si convince che la sua vita di giovane donna emancipata di città, senza marito e senza figli, sia una vita sbagliata, non conforme al destino di una donna bianca britannica degli anni ’40. Così, spinta da una frase ascoltata nel corso di un banale chiacchiericcio da salotto, decide di sposarsi spostandosi a vivere nelle campagne con Dick, che sembra il marito giusto, perché la solitudine della sua condizione da proprietario di una modesta fattoria si incastra perfettamente al bisogno di lei.
Si sposano dunque su presupposti sbagliati: curare le proprie ferite individuali riponendo reciprocamente speranze su un altro immaginario, non reale; mentre Dick disegna su Mary il personaggio della perfetta moglie devota che gli darà un giorno dei figli, Mary proietta su Dick il riscatto di un’infanzia dolorosissima, appiccicandogli addosso l’immagine di un marito intraprendente, ricco e attento, antitesi del padre alcolizzato sposato da una madre isterica.
Comincia così un lungo e lento declino verso la fine di queste due individualità, magistralmente descritto dalla Lessing nel corso degli 11 capitoli che compongono il romanzo, battendo passaggio dopo passaggio il sentiero che li condurrà verso la reciproca distruzione, vittime di sé stessi e dell’inganno della loro unione.
Mary sarà risucchiata da un vortice depressivo da cui proverà timidamente a riemergere, ora con tentativi di stimolare Dick ad essere meno ottuso e rigido, ora con un ritorno illusorio alla sua vecchia vita, ora prendendo potere nella gestione della fattoria durante i periodi di inattività di Dick. Il suo precipitare nell’oscurità sarà direttamente proporzionale al fuoco della rabbia, al tormento della frustrazione e all’oblio dell’insoddisfazione che proietterà con potente violenza verbale contro gli indigeni, il capro espiatorio (dinamica più che mai attuale), domestici in casa o coltivatori nei campi dove il marito passa gran parte del suo tempo, incurante di Mary a cui non riuscirà mai a connettersi emotivamente, sebbene la ami a suo modesto modo.
Una storia d’isolamento che porterà ad un epilogo drammatico, di cui il lettore è a conoscenza sin dall’inizio: l’uccisione di Mary.
Moses è il personaggio certamente più controverso perché veste i panni dell’umanità salvatrice e carnefice allo stesso tempo. È l’unico domestico che sopravviverà agli attacchi diretti di Mary, facendole dono di una presenza attenta e devota grazie alla comprensione e alla compassione a cui Mary riuscirà a “resistere” solo inizialmente fino poi ad arrendersi felicemente, senza però saper cogliere con coraggio l’unica occasione di salvezza che passi dai suoi sentimenti, non riuscendo anche stavolta a rompere gli schemi, andando contro il gruppo dominante dei bianchi, di cui fa parte senza troppa convinzione, che non smettono di predicare quanto sia pericoloso cedere agli indigeni. Ma per Mary cedere agli indigeni sarebbe cedere alla felicità.
Pertanto Moses, sebbene colpevole, è anche vittima, come Mary e Dick, della crudeltà cinica della società britannica post coloniale, dove snobismo, sfruttamento, arrivismo e nazionalismo, impersonificati negli amici di Mary prima e nella ricca coppia dei vicini di fattoria dopo, prevalgano sulla solidarietà, sul senso comunitario e sulla cura degli ultimi e delle individualità più fragili.
La Lessing ha una splendida sensibilità e un narrare introspettivo, con una descrizione accurata e precisa dei vissuti dei personaggi e delle loro dinamiche relazionali, con un’attenzione particolare alle tipicità del Sudafrica del dopoguerra, dagli empori alle condizioni ambientali peculiari di questa nazione, fatte di natura selvaggia, giochi di luce tra albe e crepuscoli e condizioni climatiche da cui è difficile non farsi influenzare, dimostrando la sua forte appartenenza a quelle terre in cui ha trascorso una significativa parte della sua vita.
Un romanzo assolutamente consigliato, ma non adatto a tutti. Non è una lettura leggera, ed è inevitabile nutrire sentimenti contrastanti verso Mary, verso Dick e verso Moses.
Ma, se si è abbastanza umani e capaci da astenersi da giudizi critici e conformisti, questo romanzo è un’esplorazione intensa dei mille modi in cui è possibile autodistruggersi quando ci si discosta ostinatamente da sé stessi nella convinzione malsana che aderire ad un’ideale socialmente desiderabile o ad un gruppo dominante rappresenti la migliore scelta possibile.
Un romanzo che mostra i mille volti dell’infelicità, al punto che ciascun lettore partecipe difficilmente faticherà ad individuare i tratti di almeno un volto di disperazione che gli appartiene, da guardare dritto in faccia grazie all’onestà intellettuale coraggiosa della Lessing.
Una lettura per mettersi in discussione, come donne e come uomini, individui e/o parte di una coppia intima, inevitabilmente.
Recensione di Azzurra Alu
L’ERBA CANTA Doris Lessing
Commenta per primo