L’ETÀ DELL’INNOCENZA, di Edith Wharton
Credo sia già stato detto tutto su questo romanzo.
Chi non conosce, anche tramite il film di Martin Scorsese, capolavoro assoluto, la storia di Newlan Archer e Ellen Olenska e quella babbea furba di May Welland?
Cos’ altro posso aggiungere? Beh, che avevo voglia di gettarmi nelle “braccia” delle belle parole, dell’amore fatto di sguardi e sussulti del cuore.
Avevo voglia di perdermi fra le ipocrisie di una società preoccupata soltanto di barricarsi contro le realtà spiacevoli della vita. E, in questo mistificare, scoprire quella genuinità, quel tumulto sincero di sentimenti che soltanto chi prova l’amore vero sa riconoscere.
Il romanzo, scritto da una “penna” impeccabile, sottolinea le “bassezze” di una società aristocratica i cui occhi si sono atrofizzati perché, nella cerchia oscura dove si è rilegata, non ha più bisogno.
E in un questo contesto fatto di geroglifici, nel quale le cose vere non si dicono, non si fanno e non si pensano, nasce quel sentimento più puro che riesce a cristallizzarsi nel più profondo del cuore.
Una storia di sfortunato amore che il tempo ha incorniciato nei margini dell’ io dei due platonici amanti facendone una cornice indissolubile.
Le delicate sottigliezze nell’esprimere il sentimento più nobile immortalano i due protagonisti in una sfera senza tempo e senza spazio, riducendo in un ammasso di accozzaglia il resto di quella società che esiste per apparire, mortificando il proprio vivere.
L ‘amore trionfa, malgrado tutto, in quella dimensione surreale che é la memoria, un amore che il tempo non ha né incrinato né scalfito.
“Originale! Ma se siamo tutti uguali, come quelle bamboline che vengono fuori quando si ritaglia un foglio di carta piegato! Siamo come le figure che i pittori disegnano sui muri con lo stampo. Non potremmo, tu e io, farci la nostra strada da soli. May?”
Recensione di Patrizia Zara
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