LETTERA AL MIO GIUDICE, di Georges Simenon (Adelphi)
Recensione 1
Recensione 2
Sono bastate poche righe perché io venissi intrappolata dalla magica atmosfera che pervade ogni libro di Simenon.
I toni smorzati e pacati, la luce sfocata (a causa di una pioggia sempre presente), il linguaggio curato con un’attenzione priva di manierismi sono le caratteristiche che tanto mi fanno amare questo autore.
Un romanzo poliziesco di quelli che oggi non si scrivono più: non c’è sangue, non c’è l’arma, non ci sono le indagini e non ci sono analisi…fino a pagina 170 si sa soltanto che qualcosa deve essere accaduto, che il protagonista si è reso sicuramente autore di un delitto ma non si hanno altre informazioni.
Il romanzo è praticamente una lettera che Charles Alavoine scrive al giudice che ha condotto il processo a suo carico: dopo aver avuto la condanna vuole spiegare al giudice tutto quello che lo ha portato al delitto, convinto che il giudice possa capire e condividere i suoi pensieri.
Charles Alavoine è un medico di provincia, vedovo con due figlie, vive con la madre e poi, quasi senza volerlo, sposa Armande.
La sposa senza troppa convinzione, sarebbe meglio dire che si ritrova sposato senza quasi essersene accorto.
Si ritrova a vivere una vita che non sente sua, estraneo a casa sua, dice di sentirsi un uomo senza ombra.
Il destino gli fa incontrare Martine; è amore ciò che li lega? Chi può dirlo…
Il rapporto fra i due manifesta chiaramente caratteri di disfunzionalità, diventa ossessione.
Charles è annientato dai fantasmi che circondano Martine. In un accesso di gelosia trova il modo – secondo lui – di farla diventare veramente SUA.
Il travaglio psicologico del personaggio è molto importante e coinvolgente, l’autore ha trasposto in quest’opera la propria situazione psicologica e biografica.
Egli ha detto “L’ho scritto per liberarmi dei miei fantasmi e per evitare il gesto del protagonista”.
Recensione di Gabriella Calvi
LETTERA AL MIO GIUDICE Georges Simenon
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