LEZIONE DI TANGO Sveva Casati Modignani

LEZIONE DI TANGO, di Sveva Casati Modignani (Sperling & Kupfer)

 

AVVERTENZA: questa é una recensione negativa. So che l’Autrice gode di un vasto seguito, anche su questo gruppo (sono andata a cercare precedenti recensioni), inoltre CONTIENE SPOILER pertanto, se intendete leggerlo, non andate avanti per non rovinarvi la lettura.

Che dire? Dopo un paio di letture che per me sono state impegnative, avevo bisogno di un libro “sciacquacervello” e questo mi ha chiamata dal cestone di un mercatino tutto a due euro e mi sono lasciata tentare.

Sono una lettrice onnivora e per nulla snob, l’ho finito per tigna e per capire dove andava a parare, l’unica emozione che mi ha suscitato é stata il fastidio. La noia no, perché l’Autrice é molto brava a stuzzicare la curiosità del lettore lanciando esche al termine di ogni capitolo, costringendolo (ok, se vuole e io ho voluto) ad andare avanti.

Si svolge a Milano.

É la storia parallela di due donne, Matilde e Giovanna, che hanno avuto entrambe un’infanzia segnata dalla violenza del padre, la prima negli anni trenta e la seconda in pieno boom economico.

A parte l’inizio e altre piccole parti in cui le loro vite si incontrano – Giovanna soccorre Matilde che vive quasi come una barbona e la fa curare, accompagnandola fino agli ultimi istanti di vita – i lunghi capitoli che ne ricostruiscono le singole vicende sembrano appiccicati lì, come romanzi a sé stanti.

Matilde, poverissima, dopo la rovina della propria famiglia e la morte dei genitori viene separata dai fratellini e ricoverata in un istituto per “ragazze perdute” dove viene presa sotto la protezione di un medico ricchissimo più vecchio di lei di trent’anni di cui diverrà l’amante: un altro “abusante”? Macché, ci viene assicurato, si tratta di Vero Amore, stroncato dalla morte di lui in un banale incidente domestico e che Matilde rimpiangerà tutta la vita. Sullo sfondo accenni al regime fascista, alla miseria (le povere sciure milanesi che smettono di ordinare raffinati abiti alla sarta ex prostituta presso la quale Matilde ha trovato ricovero, dopo essere stata cacciata dalla famiglia di lui dalla villa sul lago che occupavano assieme) alla guerra di Spagna, alle leggi razziali, al secondo conflitto mondiale che incombe, alla condizione femminile.

Giovanna, bellissima e naturalmente elegante, ancorché di famiglia modesta ma non miserabile, fa un gran bel matrimonio e apre un negozio di antiquariato. Rimane precocemente vedova, e aiuta l’amico architetto gay (altro cliché) a ristrutturare un attico in centro dove incontra un gran bel manzo che lei crede un operaio col quale si abbandona ad una notte di passione e dal quale fugge senza fare le presentazioni.

I soldi. Tutto si aggiusta e si risolve con i soldi, ma tanti.

Matilde conserva come unico ricordo del suo antico amante una bambola in legno del 500 che vale milioni e, come se non bastasse ha le maniche dell’abito tutte tempestate di perle e rubini che valgono a loro volta una cifra scandalosa ma lei non lo sa e tiene tutto in un cassetto nella sua mansarda pulciosa dalla quale é pure sotto sfratto. Giovanna la scopre (é un’antiquaria) si fa dare le deleghe e vola a Londra per vendere tutto dove ri- incontra il misterioso operaio dell’attico che si rivela essere il ricchissimo proprietario (ops!) non solo dell’attico ma anche della società proprietaria della mansarda pulciosa di cui sopra.

Seguono viaggi Londra – Milano sull’aereo privato. Matilde che viene trasferita dall’ospedale alla clinica privata dove le lasciano tenere con sé in camera il cagnolino storpio, Giovanna che non si decide a credere all’amore del tizio ricco che mi ha tanto colpita che nemmeno mi ricordo il nome, un paio di equivoci, un altro paio di fughe di Giovanna che, evidentemente, ha paura di amare. La morte in serenità di Matilde e poi tutti i salmi finiscono in gloria sulla collina vista lago dove infine viene sepolta accanto all’Unico Amore della sua vita.

Insomma un gran minestrone e scritto pure male in un italiano obsoleto (mi hanno fatto sorridere, tra le altre cose, “un ragazzo da sballo” e “uno schianto di donna” che, nel 1998, anche no).

Insomma, ho voluto provare, ho passato un paio di serate a scrollare la testa costernata e, con la “signora del best Sellers italiano” ho definitamente chiuso!

Recensione di Sandra Buttafava

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