Meglio il libro o il Film
Libro – LA LUCE SUGLI OCEANI M.L. Stedman
Come si può commentare questo libro senza fare spoiler?
Impossibile, ma ci provo.
Quindi la prendo alla larga e parto dicendo che, per me, il titolo è bruttissimo, di quelli banali che proprio “allontanano”, la copertina è orrenda e respingente, la scrittura è piana, lineare, semplice (forse troppo)…ma la storia prende.
Tocca una tematica forte che non ti permette di rimanere indifferente, cerca di farti prendere una posizione netta, mentre tu sei lì che oscilli continuamente.
Vorresti schierarti con decisione dalla parte del “giusto”, ma poi non ce la fai, ti lasci trasportare…e alla fine non lo sai neanche più cosa sarebbe davvero “giusto” fare.
Il tema della maternità è difficile da affrontare perché va a toccare la parte più indifesa dell’universo…i bambini.
Alla fine a pagare sono sempre loro.
Sono i bambini che sanano le ferite degli adulti inferte dal loro stesso egoismo smisurato, mentre a loro non rimane che il tempo “gran dottore”, quello che aggiusta tutto, che fa dimenticare…
“I bambini amano sempre”…sì è vero, ma a che prezzo?
Io, comunque, la mia decisione l’ho presa, mi sono schierata e, alla luce di questo romanzo, dico “no”.
No, la maternità non è un diritto da perseguire a tutti i costi.
Non può essere sorretta da un “mors tua, vita mea”.
Non si dovrebbe mai basare la propria felicità sull’infelicità di qualcun altro…perché in questi casi il dolore si moltiplica, si propaga a macchia d’olio, sempre.
Ma questo è anche un romanzo sulla differenza fra solitudine e isolamento, sugli opposti di “luce” e “ombra” generati dal Faro, che poi è anche metafora di amore e colpa, salvezza e pericolo…sulla possibilità di riscattare i propri errori.
È un libro sulla “perdita”: tutti perdono qualcosa, nessuno escluso.
La storia è intensa e struggente, credevo di dare fondo alla scatola dei kleenex, ed invece no, niente lacrime…forse a causa di una scrittura troppo lieve, non incisiva, descrittiva, ma non penetrante, senza picchi di pathos, senza affondi.
Peccato, poteva essere un gran libro.
Ho la sensazione, però, che con il film andrò a piangere tutte le lacrime di cui la scrittura mi ha privato (e sinceramente lo spero, perché adesso mi sento come se avessi un peso sul cuore).
Fassbender…arrivo! ❤
Recensione di Antonella Russi
Film – THE LIGHT BETWEEN OCEANS Derek Cianfrance
(The light between oceans)
regia: Derek Cianfrance (Usa, 2016)
cast: Michael Fassbender, Alicia Vikander, Rachel Weisz, Caren Pistorius, Florence Clery
sceneggiatura: Derek Cianfrance
fotografia: Adam Arkapaw
scenografia: Sophie Nash
montaggio: Jim Helton, Ron Patane
musica: Alexandre Desplat
durata: 132 minuti
giudizio: ★★☆☆☆
trama: Una coppia sterile “adotta” segretamente (e illegalmente) una bambina abbandonata, trovata, insieme a un uomo morto, dentro una barca arenatasi sotto al faro in cui vivono. La bambina diventerà la loro luce e unica ragione di vita, ma quando dopo qualche anno la madre naturale si farà viva reclamando la piccola, le cose si complicheranno terribilmente…
Una pellicola il cui unico merito, diciamolo subito, è quello di non cadere nel ridicolo involontario nonostante una trama assurda, personaggi tagliati con l’accetta in pieno stile anni ’20 (cui il film vorrebbe rendere omaggio) e le ridondanti musiche di Alexander Desplat, esaltate dal dolby surround… Cianfrance se frega altamente del kitch e lo porta agli eccessi facendolo risultare perfino godibile, ma a differenza, per esempio, di un Baz Luhrmann, non riesce mai ad elevarlo a protagonista assoluto: il principale difetto di Cianfrance (come nelle già citate pellicole precedenti) è infatti quello di confezionare film durissimi e tristi, manichei, desolanti come trama e ambientazione, dove però il dolore vero rimane sempre in superficie, senza mai riuscire a toccarti le corde sensibili dell’anima.
Eppure questa volta il tema trattato era serio e importante, quello del diritto/dovere di essere madri: a chi appartengono i figli, a chi li cresce o a chi li mette al mondo? E come comportarsi di fronte al fatto compiuto, facendo finta di nulla oppure raccontando la verità al piccolo? Domande impegnative che presupporrebbero uno svolgimento focalizzato su questi profondissimi temi. Invece Cianfrance non trova nient’altro di meglio che sbattere il dolore in prima pagina, limitandosi a edulcorare la visione senza mai approfondire davvero i drammi umani delle tre figure principali, restituendoci un film opprimente e tragico, che sparge dolore a piene mani ma che finisce più per annoiare piuttosto che sconvolgere.
Non giova neppure la recitazione eccessivamente classica e impostata dei protagonisti (in special modo Fassbender) che non danno mai la sensazione di naturalezza: solo Rachel Weisz riesce, seppur a tratti, a sciogliere i cuori del pubblico nel ruolo di una madre disperata ma risoluta, ma la sua resta comunque una performance artefatta, scollegata dal contesto, un corpo estraneo in un lungometraggio che non appassiona e non indigna, rigoroso fino al punto di annoiare, perfetto nella ricostruzione storica e artistica ma trattenuto nei sentimenti e e nel coinvolgimento. Cosa che, per un melodramma, equivale al peccato mortale.
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