Libro e Film a confronto
Libro LA RAGAZZA NELLA NEBBIA, di Donato Carrisi
Una ragazza scompare nel nulla, un agente speciale della polizia viene chiamato a indagare.
Il più classico degli inizi per un romanzo che non si risparmia colpi di scena nemmeno nel finale.
L’agente Vogel non è un poliziotto come gli altri, i media sono la sua arma, il palcoscenico il suo campo di battaglia.
Per catturare un assassino questo ed altro, è questo che si dice, o forse è solo un modo apparentemente nobile per nutrire il proprio ego?
In questo romanzo ci viene descritto quello che ogni giorno accade sotto i nostri occhi.
Il processo mediatico che avviene attorno a una tragedia, la scoperta del mostro, la santificazione della vittima, l’accanimento dei media.
Un processo che avviene quasi giornalmente in ogni salotto televisivo, un approccio al crimine a cui il pubblico è ormai assuefatto.
Carrisi è forse uno dei migliori scrittori di thriller che abbia mai letto, in questo libro ci trascina fino alla fine del romanzo col dubbio.
Non sapremo cosa è realmente accaduto fino alle ultime pagine, qui non esiste una facile risoluzione.
Thriller che consiglio a tutti, non solo gli amanti del genere.
Recensione di Alfredo Crispo
Film LA RAGAZZA NELLA NEBBIA, di Donato Carrisi
regia: Donato Carrisi (Italia, 2017)
cast: Toni Servillo, Alessio Boni, Jean Reno, Lorenzo Richelmy, Michela Cescon, Galatea Ranzi
sceneggiatura: Donato Carrisi
fotografia: Federico Masiero
scenografia: Tonino Zera
montaggio: Massimo Quaglia
musiche: Vito Lo Re
durata: 128 minuti
giudizio: ★★★☆☆trama: La quiete di un minuscolo paesino di montagna viene scossa dalla scomparsa di una ragazzina di sedici anni. Il caso viene affidato al controverso ispettore Vogel, un poliziotto che cerca di ricostruirsi una reputazione dopo trascorsi lavorativi poco edificanti. I sospetti si concentrano sul professor Loris Martini, insegnante di una scuola locale, sul quale si abbatte subito la gogna mediatica di giornali e televisioni. Ma la verità, al solito, sarà molto più complessa di quanto appare…
dico la mia: Poteva andare peggio, molto peggio. Pericolo scampato, insomma… confesso che ero parecchio scettico su questo debutto alla regìa di Donato Carrisi, scrittore di best-seller con il pallino per il cinema: di solito queste operazioni così commerciali finiscono con tonfi clamorosi (parlo di qualità, non di incassi) direttamente proporzionali all’ego (spesso smisurato) dei loro autori. Però Carrisi ha dalla sua anche una lunga esperienza di sceneggiatore teatrale e, per quanto in effetti il film risenta parecchio di questa impostazione, bisogna dire che il risultato finale è più che dignitoso, sebbene aiutato parecchio dal lauto budget messogli a disposizione. Ma questa non è una colpa, ci mancherebbe…
La produzione infatti ci ha visto lungo, utilizzando gran parte dei fondi (cinque milioni di euro, tantissimi per un’opera prima italiana) per reperire un cast di altissimo livello: una coppia sontuosa di protagonisti come Toni Servillo e Alessio Boni, attrici di assoluto valore come Michela Cescon e Galatea Ranzi, fino ad arruolare un’autentica star internazionale come Jean Reno. E quando si hanno attori di questo calibro, si può ben dire che metà film è già fatto. Al resto ha pensato poi lo stesso Carrisi, scrivendo, adattando e sceneggiando una storia di sicura presa sul pubblico, come lo è da sempre il giallo. Anche il contesto e le location sono tipicamente affabulatorie: un paesino immaginario, sperduto in mezzo alle Alpi, circondato dalle nevi eterne e immerso nella nebbia, che conferisce sempre un buon fascino e il giusto alone di mistero. Come si richiede a un film di questo tipo.
La storia, per dir la verità, non è proprio originalissima: l’incipit, con un Toni Servillo sporco e sanguinante che viene fermato e interrogato da uno psichiatra/poliziotto (Jean Reno), è fin troppo simile a Una pura formalità di Tornatore… lo sviluppo è anch’esso abbastanza convenzionale, con le indagini (e i sospetti) che ricadono sul classico “forestiero”, l’uomo venuto “da fuori”, il corpo estraneo che destabilizza una comunità bigotta e poco tollerante, qui nei panni di un professore di liceo (Alessio Boni) appena arrivato dalla città con moglie e figli e con ovvie difficoltà di integrazione. Aggiungeteci poi la (giusta) critica al’invadenza dei media nella società, e il piatto è già bello che servito… Bisogna riconoscere però che l’impianto giallo funziona bene e appassiona fino all’ultima scena: non fidatevi di chi vi dice “si capisce subito come va a finire”, perchè non è assolutamente vero. E i tanti finali e sottofinali per una volta non si accumulano ma accrescono la suspance. Non è poco.
A questo va aggiunto, non ultimo, forse l’unico aspetto davvero non convenzionale della pellicola, rappresentato proprio dal personaggio di Servillo: il suo ispettore Vogel infatti scardina almeno in parte i canoni del genere, non andando necessariamente verso la ricerca della verità ma facendo in modo che il presunto – sottolineo presunto – colpevole sia quello che è stato già condannato dai media, servendosi dei media stessi per arrivare allo scopo. Una critica feroce al giustizialismo spicciolo dei nostri tempi, fatto di tribunali virtuali e non autorizzati, che condanna o assolve in base all’umore, alla pancia o alle simpatie del momento. Un film ben costruito, dunque, con ottimi attori e un buon script, che sfrutta il registro poliziesco per imbastire una critica sociale ai malesseri del nostro tempo.
Tuttavia, come accennavo all’inizio, La ragazza nella nebbia non riesce a convincere del tutto, e il motivo è da ricercarsi nell’impostazione eccessivamente teatrale della sceneggiatura che finisce col rendere innaturali sia la recitazione che lo sviluppo della trama, soffrendone parecchio l’ovvia derivazione letteraria. Del resto non possiamo nemmeno dimenticare che molti degli stessi protagonisti (Toni Servillo, Alessio Boni, ma anche Michela Cescon) vengono proprio dal teatro. Il che, intendiamoci, non è una nota di biasimo, solo che in questo caso la sensazione di una certa “infedeltà” di fondo è dura da abbattere. Quello che rimane è un discreto film, che probabilmente piacerà al pubblico medio ma non al punto di scaldarne i cuori. Si è comunque riusciti ad evitare sia il marchettismo che il ridicolo involontario, nonchè gli sbadigli e i cali di tensione. E di questi tempi non era affatto scontato.
Recensione di S O L A R I S – il Blog per gli amanti del cinema
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