Libro L’UOMO DEL LABIRINTO, di Donato Carrisi
Recensione 1
Un thriller che ho divorato in due giorni.
Bruno Genko, un investigatore privato dai modi rozzi, ma con una discreta dose di segreti e il dottor Green, un astuto profiler, si mettono alla ricerca di un uomo.
L’uomo del labirinto, il responsabile del rapimento della tredicenne Samantha Andretti, riapparsa in una notte come tante dopo ben quindici anni di prigionia.
Un thriller sorprendente dove niente è come sembra, chi ama i romanzi di Carrisi verrà appagato dalle varie citazioni alle sue altre opere.
Una storia che scava nelle zone più oscure della mente umana, che descrive come il male può passare da un individuo all’altro come il più nefasto dei virus.
Una racconto che tiene incollati alle pagine fino allo stupendo e sconvolgente finale.
Recensione di Alfredo Crispo
Libro L’UOMO DEL LABIRINTO, di Donato carrisi
Recensione 2
L’uomo del labirinto – Donato Carrisi
È difficile fare una recensione senza “spoiler”, ma ci proverò ugualmente.
La vicenda parte dal ritrovamento di una ragazza rapita, quindici anni dopo il suo rapimento. Si apre così una serrata caccia al mostro…. La vicenda si svolge su un binario parallelo, da un lato la classica indagine investigativa, di cui è protagonista un crepuscolare investigatore privato; dall’altro l’indagine del profiler condotta attraverso i meandri della memoria della vittima…
Ma come in tutti i romanzi di Carrisi le cose spesso non sono quello che sembrano, ed il finale riserva sempre una sorpresa.
Per me, che pure sono un’amante del genere letterario, che ho adorato Il Gioco del Suggeritore ed il Tribunale delle anime, questo libro resta un po’ deludente.
Il detective protagonista del romanzo assomma in sé un certo numero di cliché del genere. Anche la condizione in cui avviene la – per lui ultima – indagine ha qualcosa del deja-vu.
Anche il colpo di scena finale, tanto “coupe” non è perché ricalca uno schema (questa volta originalmente Carrisiano), che si può chiaramente intravedere già a metà libro e che non viene valorizzato dal finale con il sapore di un “To be continued …” da serie americana.
I lati positivi che vanno comunque sottolineati sono la grande scorrevolezza ed il ritmo serrato della prosa di Carrisi che, a mio avviso, si conferma ad un livello internazionale nel genere thriller.
Una chicca nascosta nel testo è un rimando (forse un omaggio ad Harris?) al primo Hannibal the Cannibal de “Il Silenzio degli innocenti”…..vediamo chi come me lo trova!
Recensione di Clelia Palmieri
Film L’UOMO DEL LABIRINTO, di Donato Carrisi
titolo originale: L’UOMO DEL LABIRINTO (ITALIA, 2019)
regia: DONATO CARRISI
sceneggiatura: DONATO CARRISI
cast: TONI SERVILLO, DUSTIN HOFFMAN, VALENTINA BELLE’, VINICIO MARCHIONI
durata: 130 minuti
giudizio: ★★☆☆☆
Certe cose è meglio lasciarle fare agli americani… e non basta una vecchia star americana in vacanza premio (Dustin Hoffman) per conferire a un film un tono da respiro internazionale. Donato Carrisi, scrittore di successo improvvisatosi regista (anche con buoni risultati: il suo esordio con La ragazza nella nebbia tutto sommato non era male) ci ha preso gusto e torna al cinema con questo L’uomo del labirinto, tratto dal suo omonimo, ennesimo bestseller e girato con un budget importante. Non sempre però alzare l’asticella dell’ambizione porta a risultati migliori e difatti, a mio modestissimo parere, questa volta il risultato è decisamente inferiore al film d’esordio.
Diciamolo subito: non è scimmiottando i thriller d’oltreoceano che per proprietà transitiva si ottiene qualcosa di buono anche da noi: è evidente che L’uomo del labirinto attinge a piene mani da una filmografia di genere da cui ormai, quasi per saturazione, è difficile trarre qualcosa di nuovo. Il problema è che questa opera seconda non funziona nemmeno come noir classico: Carrisi prova ad unire gli elementi tradizionali del cinema americano con stilemi artistici tipicamente italiani, solo che questi elementi non riescono mai ad amalgamarsi tra loro e rimangono perfettamente riconoscibili e distanti, conferendo al film un’atmosfera plastificata e provinciale, esattamente il contrario di quello che era lo scopo.
Vediamo infatti un Toni Servillo che altro non è che lo stereotipo del detective americano già incontrato in mille altri film: trasandato, lurido, asociale, indisponente, inviso ai superiori, dotato però di grande fiuto e rettitudine morale e pronto a calarsi nell’indagine a dispetto di tutto, anche degli ostacoli più estremi (in questo caso un male incurabile). Per contro, troviamo aspetti tecnici e creativi tipicamente italiani, che però ricordano troppo gli schemi degli horror anni ’70 (lo vogliamo dire? quelli di Dario Argento) e appaiono decisamente fuori tempo massimo: basti pensare alle scenografie gotiche e cromaticamente violente degli interni, le musiche sovraccariche che rimandano ossessivamente a Morricone, e non ultimo il labirinto del titolo, un classico fin troppo classico del genere (perdonatemi il gioco di parole…) un collage di scene e situazioni in cui la somma non fa mai il totale, parafrasando il grande Totò.
C’è troppa carne al fuoco e ci sono troppe esagerazioni in questo film, che perseguendo una strada (impervia) aperta da Tarantino cade nella trappola del citazionismo esasperato finendo per risultare parodistico.
Troviamo infatti di tutto e di più ne L’uomo del labirinto, leggi un numero spropositato di citazioni tanto al chilo che nei 130 minuti (eccessivi) di lunghezza sfiancano lo spettatore: conigli giganti (Lynch? Donnie Darko?), vecchie signore che emergono dagli scantinati (Shining??), mostri senza bocca e dalla voce metallica (Il labirinto del fauno?), oltre all’immancabile voce fuori campo, talmente scontata che ormai nemmeno gli studenti di cinema usano più…
Cosa si salva? Direi ovviamente la sceneggiatura, non a caso scritta da uno scrittore: la trama regge e coinvolge, i colpi di scena non sono troppo prevedibili, il finale e i (tanti) sottofinali non sono scontati. Il problema è che tutto il film appare poco credibile, finto, per i motivi che abbiamo esposto fin qui. Sembra più un videogame, un gioco di ruolo, un giocattolino costoso ma fine a se stesso in cui ci si diverte a indovinare come andrà a finire ma di cui ti rimane poco o nulla, perché nessun aspetto umano, morale o sociologico è approfondito come dovrebbe. Vorrebbe stupire, ma finisce solo per risultare indigesto a chi, di film come questo, ne ha visti fin troppi e gradirebbe qualcosa di meno ambizioso ma, magari, un filino più originale. Senza voler chiedere troppo.
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