Libro/Film a confronto
Libro NORWEGIAN WOOD, di Haruki Murakami
Un romanzo incentrato sulle sofferenze dell’ “io adolescenziale” alla ricerca di un suo ruolo sociale.
Protagonista un adolescente dagli occhi a mandorla apatico e che risulta da subito antipatico: te lo immagini posto al centro della scena senza fare nulla, proprio nulla, mentre tutt’intorno gli altri si muovono e lottano per un’esistenza migliore.
Potrebbe considerarsi un buon libro per il tema trattato ossia, il difficile passaggio dalla fanciullezza all’età adulta se non fosse che la morte diventa l’unica protagonista.
L’amico del protagonista si uccide con il tubo di scarico della macchina a soli 17 anni.
La fidanzata dell’amico suicida viene rinchiusa in un centro psichiatrico per concludere la sua vita appesa ad una corda nel bosco (si suicida anche lei).
L’amica cara nonché poi amante del protagonista è una pazzarella che si inventa una vita parallela (fra l’altro anche attratta da forme di gratuite di pornografica) per sfuggire a un’esistenza sofferta: il padre è malato terminale da mesi in ospedale (poi muore, ovviamente).
Il collega di università del protagonista è un tipo sui generis e si pone l’obiettivo di scoparsi più ragazze possibili con il consenso della sua dolce ed elegante fidanzata che alle lunghe non reggendo tale situazione si taglia le vene e ovviamente muore.
E tra una masturbazione e l’altra il protagonista compie 20 anni calpestando cadaveri.
La scrittura comunque risulta fluida seppur lenta e poco appassionante, a eccezione di alcuni passaggi soprattutto nella descrizione dei paesaggi naturali.
Il romanzo spinge molto sul lato emotivo, sulla personalità degli individui coinvolti, ma appare bizzarro nella scelta di mettere sullo stesso piano la descrizione ridondante della realtà materiale (i pasti, gli ambienti, le mansioni)con la descrizione delle emozioni che risultano, cosi, svuotate di significato, grezze, schematiche, stilizzate, vere e proprie forzature.
C’è molto di quel Giappone che si adegua malamente ai canoni di quell’occidente che affonda le sue radici in una cultura totalmente diversa.
In tale contesto il paese del “Sol Levante” s’incrina a una cultura che non ci si addice e genera queste storie grezze e vuote, passive e abuliche.
Si passa da un Giappone, puro e casto, dedito alle usanze e al buon costume dell’epoca delle Geishe, a un Paese nuovo che corre verso l’eccesso quasi fino a toccare o imitare la mitica città del peccato quale la famosa Las Vegas. Affacciandosi verso lo sfascio dei tabù, prima gelosamente conservati, si propone uno Stato nuovo, rinnovato, il contrario di quello che è sempre stato.
Sicuramente non è una storia che mi ha entusiasmato malgrado le magnifiche descrizioni dei paesaggi del Sol Levante e, per chi ama la musica, i numerosi riferimenti a artisti di generi ed epoche diverse: dagli ovvi (per il titolo) Beatles a Tom Jobim, passando per Bacharach e un’infinita serie di jazzisti, Coltrane, Hancock, Coleman…
“Ogni cosa segue comunque il suo corso, e per quanto uno possa fare del suo meglio, a volte è impossibile evitare che qualcuno rimanga ferito. È la vita.”
Film NORWEGIAN WOOD, di Tran Anh Hung
I libri non cambiano le persone, e nemmeno i film: magari potessero farlo. Però ci sono libri che ti regalano delle autentiche lezioni di vita, che segnano indissolubilmente la tua esistenza e che ti porti dietro per sempre, perchè sono parte di te e non puoi più farne a meno. Ecco, per quanto mi riguarda, Norwegian Wood è il mio ‘libro dell’anima’, dolorosissimo e straordinario, dolce e tragico insieme, regalatomi da una persona particolare in un momento particolare della mia vita. Logico, dunque, che ho desiderato ardentemente di vederne la trasposizione cinematografica, passata fugacemente e quasi inosservata all’ultima Mostra del Cinema di Venezia.
Una cosa è certa: non fa mai bene vedere i film dopo aver letto i libri da cui sono tratti, specie se ti hanno suscitato le passioni di cui ho parlato sopra. E’ molto meglio fare il contrario, perchè in questo modo eviti di restare ‘interdetto’ di fronte agli attori in carne e ossa e anche a certe situazioni sceniche che, inevitabilmente, possono essere ben diverse da come te le eri immaginate. Ma questo è il prezzo da pagare ogni volta che ci accingiamo a vedere una pellicola di questo tipo, e dobbiamo comunque rispettare la creatività del regista che non rinuncia, giustamente, a metterci dentro qualcosa di suo.
In ogni caso il film diretto dal vietnamita Tran Ahn Hung è molto fedele al romanzo di Murakami Haruki: scelta intelligente e giusta, non c’era davvero motivo di stravolgere una storia semplice, assoluta e lineare, che era già lì e funzionava egregiamente. Certo la versione cinematografica è decisamente semplificata rispetto al romanzo, e molte sequenze non vengono spiegate o commentate (e questo non è necessariamente un male) finendo forse per risutare poco comprensibili a chi si avvicina per la prima volta alla storia. Ma devo dire che nel complesso le emozioni, il dolore, la mia empatia e il mio coinvolgimento personale sono rimasti intatti.
Norwegian Wood parla di tante cose: di relazioni difficili, di equilibri delicati, di amori totalizzanti anche se fisicamente appena accennati, di persone che affrontano la vita e di altre che scelgono di smettere di vivere, lasciando a chi rimane il peso delle domande e delle responsabilità. Parla di vita e di morte, di come queste non siano mai in antitesi ma indiscutibilmente l’una parte dell’altra.
Parla, soprattutto, dei dubbi e delle paure di una generazione che fa sempre più fatica a capirsi e comunicare con gli altri, e che cerca disperatamente di sfuggire alla solitudine.
Watanabe, il protagonista, è un ragazzo che deve dividere i suoi sentimenti con due donne, che ama in egual misura ma diversissime tra loro: una, Naoko, è timida, fragile, complicata, spaventata dal mondo e dalla propria personalità. Rappresenta l’insicurezza e la sensibilità di tante persone che si sentono ‘diverse’ solo perché respinte da una società dominata dalla superficialità dei rapporti umani.
L’altra, Midori, è invece l’esatto opposto: è, apparentemente, vulcanica, aperta, esuberante, solare. Salvo poi scoprire che l’aspetto esteriore è in realtà una ‘maschera’ protettiva, per nascondere un passato fatto di ferite profonde e mai rimarginate.
Ma Norwegian Wood è anche un romanzo sull’importanza e sul valore dei ricordi che, dice Murakami, sono tutt’altro che incancellabili. Il libro inizia con Watanabe ormai adulto che, durante un viaggio aereo, ascolta in sottofondo la canzone del titolo e viene inevitabilmente colto da un groppo alla gola… non tanto per la nostalgia, ma perché si accorge che il viso di Naoko ha contorni sempre più indefiniti, e ogni giorno che passa lo sforzo per ricordarlo è sempre maggiore. Il tempo lenisce qualsiasi cosa, compresi contorni della persona amata che mai avresti pensato di dimenticare. E in questa sequenza c’è tutta la struggente malinconia e il senso di inadeguatezza che pervade tutto il racconto, destinato a rimanere a galla per diverso tempo anche dopo aver terminato la lettura, a seconda della
sensibilità di chi legge.
Di questa sequenza però nel film non c’è traccia. E questo è, a mio avviso, uno dei difetti più evidenti e clamorosi: saltare questo prologo significa togliere al resto della storia quel senso di nostalgia e di sottile disagio che contribuisce a rendere più sfumati e tolleranti i giudizi sui personaggi, che nella versione cinematografica finiscono per essere inevitabilmente ‘decontestualizzati’ e più stereotipati rispetto all’originale. Il film risulta essere così più ‘crudo’, più diretto, ma decisamente molto meno ‘poetico’ e delicato del mondo descritto da Murakami. Questione di sensibilità personale, ovvio. Come a giudizio di chi scrive è abbastanza inadeguata l’attrice che interpreta Midori: nel romanzo è una ragazza forte, bella, ‘adulta’, segnata dalla vita. Nel film sembra una lolita insopportabile e con la puzza sutto il naso…
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