L’INCANTO DEL PESCE LUNA, di Ade Zeno
Recensione 1
Ho comprato questo libro perché ne ho sentito parlare in TV quando sono stati annunciati i cinque libri prescelti per il Premio Campiello, indicati da ben trecento lettori. “L’incanto del pesce luna” era fra questi. Il titolo mi era piaciuto tantissimo. Mi evocava mondi fiabeschi, dove l’immaginario disegna scenari lievi che accarezzano la nostra sete di bellezza, poesia e sentimenti puri. Me lo compro, inizio a leggerlo. Rimango però spiazzata da un incipit raccapricciante, con uno scenario terribile, di morte:
«Miseri, sbalorditi mortali.
Meritate di finire così.
In fondo lo meritiamo tutti.»
Terribile anche perché si riferisce ad un macabro teatrino messo in scena per placare la fame di un mostro. Che si avvale di altrettanti mostri per rendere tutto possibile e reale. Il mostro che più intriga è il protagonista Gonzalo: un uomo tutto d’un pezzo, che accetta un mestiere improbabile come riscatto per curare sua figlia caduta in un sonno catatonico. Ed è qui che si aprono i fondali. Già il nome Gonzalo è ambivalente. Da una parte è un nome gotico, grottesco, noir, da un altro mi fa pensare a una gondola, che mi riporta al titolo evocativo del titolo. Ed ecco che vedo un padre. Un uomo disperato che pur di salvare la figlia vende l’anima al diavolo.
Questo è forse il cardine di tutto il romanzo: cos’è disposto a fare un genitore pur di accarezzare anche una minima speranza di vedere nuovamente la propria figlia aprire gli occhi? Io sono madre e so cosa significa prodigarsi per i figli, credo che se mi fossi ritrovata con un problema analogo avrei fatto di tutto per restituire vita a una mia creatura. Di sicuro Ade Zeno indaga a modo suo, sulla scia di Kafka, Bolaño, Poe.
E Gonzalo diventa sì, un diavolo che offre un reale così orrido da essere di difficile dominio del lettore, ma allo stesso tempo rivela dell’altro. Trasporta altrove, laddove l’immaginazione che esce dalla narrazione è quella di un padre disperato, in cerca di nuovi terreni comunicativi, che la realtà gli ha negato. Per usare l’immaginazione è bene viaggiare con le musiche e le danze di artisti famosi come Gene Kelly, con il suo avvincente tip tap e le sue leggendarie danze sotto la pioggia e sui pattini a rotelle; o come Klaus Nomi, il tenore tedesco della musica elettronica che tutti lasciava a bocca aperta, David Bowie compreso. Non è un caso che il libro sia a loro dedicato e non è un caso che diventino leitmotiv e voglia di tenerezza: «Gonzalo sfila il cappotto, via anche la maglia, nodo alla cravatta, scarpe, calzini. Inés respira piano, le palpebre sembrano ali di un lepidottero a riposo. Gonzalo le accarezza con un soffio e mentre lo fa la immagina sorridere beata. Estrae il registratore, controlla che tutto sia a posto, tiene pronto l’indice. È il momento in cui si si ferma a temporeggiare assaporando in anticipo l’attacco delle prime note, una sequenza che hanno ascoltato insieme centinaia di volte.» (p.68)
Molto teatrale questa scena del padre in clinica che va a trovare la figlia ormai grande, sempre addormentata, come se il teatro magicamente avesse il potere di trasportarci in un altrove onirico e fiabesco. Ecco cosa dice a proposito Ade Zeno: “La favola è la dimensione narrativa che si adatta meglio alla necessità di spostare il racconto altrove, Nel mio libro tutto è possibile, tutto è sospeso. Con una storiella si possono allontanare i fantasmi. E questo mi serviva a creare quel rapporto forte, speciale, tra Gonzalo e sua figlia Inés. E poi, fa parte del mio modo di raccontare quel desiderio di spostarmi in continuazione da un registro narrativo all’altro. Proprio per rimarcare il dialogo che c’è tra la realtà e un’altra dimensione, che ci permette, attraverso una sorta di lente deformante, di scoprire aspetti sconosciuti della realtà stessa. Io credo che immaginando altre possibilità ci sia consentito comprendere meglio il nostro vivere”.
Gonzalo, che nella vita fa lo stesso mestiere dell’autore, è un cerimoniere per una Società di Cremazione e poi per altri datori non ben definiti; è un Caronte, un traghettatore, ormai incapace di vedere la differenza fra la vita e la morte. È un romanzo, che usa l’allegoria, ma senza voler insegnare nulla a nessuno. È un libro che fa i conti con la morte in un contesto ben preciso e si rifiuta di fare i conti con la vita. O meglio: con la realtà. Infatti, se per vita intendiamo quei mondi che la fantasia ci mette a disposizione, allora possiamo aspettarci anche aperture e soluzioni non finali. Senza però mai dimenticarci che siamo tutti potenziali mostri: che ognuno di noi nasconde una parte oscura.
Gonzalo la percorre in parte, ed è forse questo l’unico insegnamento che ci può dare: non giudicate l’altro se prima non avete transitato, interrogato, setacciato quella parte nera del vostro essere. La mostruosità umana per essere eradicata deve essere stanata nei luoghi intimi dove si nasconde. Invece per conoscere l’incanto del pesce luna, possiamo imitare il Re Tristezza, «allungando una mano e regalando tre carezze». (p.76) Eh già, semmai ce ne sarà bisogno! Semmai, arriveremo a capirlo!
Recensione di IO LEGGO DI TUTTO, DAPPERTUTTO E SEMPRE. E TU? di Sylvia Zanotto
Recensione 2
Tutti facciamo i conti col tempo, c’è poco da fare. E’ il tempo (per la verità insieme al denaro) che ci da o toglie delle possibilità.
La sconfinata distesa di tempo libero che caratterizza l’infanzia e la gioventù, si restringe inesorabilmente appena ci affacciamo al balcone pericolante della nostra vita: prima una vertigine, inevitabile, e poi la consapevolezza spigolosa di non avere più tempo (sempre lui!) da perdere. Qualcuno cade troppo presto da quel balcone, ma questo è un altro discorso.
Ogni volta che facciamo qualcosa sentiamo che stiamo riempiendo il serbatoio della nostra esperienza, oppure, altre volte, che stiamo versando acqua in una tanica sfondata, che stiamo adoperandoci inutilmente e, spesso, faticosamente.
Anche quando si legge si produce uno sforzo e, soprattutto, si impiega il proprio tempo, e proprio come per qualsiasi altro impegno si ha la netta sensazione di riempire o meno il proprio bagaglio di esperienza (emozionale e culturale).
Alcune volte, ‘sto benedetto tempo, va perduto.
Leggere questo romanzo di Ade Zeno è come versare dell’acqua in un recipiente con una falla. Non rimane nulla, dopo questa lettura, nei nostri serbatoi (si può stabilire che i serbatoi sono due e potremmo chiamarli “cuore” e “mente”).
Certo l’autore sa scrivere (ma chi non lo sa fare, ormai?)e d’altro canto, Ade Zeno, fa lo scrittore, no?
E’ anche doveroso dire che alcuni passaggi del romanzo sono caratterizzati da una buona lirica. Inoltre va detto che l’idea per il soggetto di questo libro è buona, come si usa (abusa) dire oggi, è un’idea visionaria. Questo è l’aspetto migliore del romanzo: la visionarietà.
Si racconta la storia di Gonzalo (bel nome per un protagonista) che fa il cerimoniere presso una azienda che si occupa di cremazioni, in un grande camposanto. Sua figlia è in coma da anni e lui la va a trovare quotidianamente, comunicando con lei attraverso la musica, cercando di portare a casa con sé (dai diciamolo: nel suo cuore) le piccole reazioni fisiche che la ragazza esprime, ascoltando dei suoni. Per potere sopperire alle spese che comporta l’accudimento e la cura della figliuola, Gonzalo fa anche un altro mestiere occulto e macabro.
Succederanno diverse cose che cambieranno le traiettorie delle vite in gioco nel racconto, sino ad arrivare ad un finale (non trovo altro aggettivo) pirotecnico.
Il cinismo è indicativo di un’intelligenza superiore ed è proprio il cinismo che salva, in parte, quest’opera: il cinismo che ne riempie le pagine. Orrore e malinconia si affiancano, accompagnandoci in un universo fantastico, ma al tempo stesso imprevisto ed inimmaginabile.
L’idea era buona, si.
Si sarebbe potuto (e dovuto) dire che la storia è ambientata a Torino, quando invece la città dove si svolgono le vicende narrate non è mai nominata. La scelta editoriale (purtroppo ricorrente) di non nominare i luoghi reali dove le vicende immaginarie si svolgono, impoverisce di molto il risultato delle opere che subiscono questa mutilazione.
Le città sono già di per sé delle storie, o meglio, dei contenitori dove di storie (di vite) ce n’è a bizzeffe. E’ doveroso rendere loro merito, restituendole dentro il meraviglioso universo delle storie inventate, a chi le vive ogni giorno nella realtà (la realtà che è sempre più terrificante di qualsiasi libro che si chiude e giace innocuo, sul comodino, disse una volta Alda Teodorani, scrittrice romagnola e illuminata).
Il tempo è poco e c’è troppo da leggere (e da fare) per dedicarne a questa lettura, ma questo è solo un consiglio.
Si deve d’altronde considerare che c’è gente che di tempo ne ha tantissimo. Alcune persone ne hanno da vendere, anzi da regalare.
Infine si può affermare che i momenti di astrazione più elevati si vivono da bambini, quando si fa qualcosa (qualsiasi cosa), senza considerare minimamente il tempo (che per i bambini non esiste). Ecco, allora, che leggere “L’incanto del pesce luna” diventa possibile, a patto di avere l’animo di un bimbo.
Recensione di Mauro Mauri-Maurone Caratori Contini
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