L’INNOCENZA, di Tracy Chevalier
Come tutti i testi dell’autrice anche “L’innocenza ” romanza un periodo storico ben definito su cui l’autrice ha fatto ricerca minuziosa e si è documentata.
Siamo a Londra biennio 1792-1793
In Europa e soprattutto nella vicina e ugualmente monarchica Francia sono cadute teste. E non lo hanno fatto metaforicamente.
A Londra fra i pub, le bettole, i vicoli oscuri, lungo le sponde del Tamigi, la vita scorre quasi indifferente: i miseri non sanno come riscattarsi ed emergere dal fango in cui spesso si immergono, durante la bassa marea, per recuperare oggetti perduti.
Eppure un bizzarro e inquietante individuo si aggira per Lambeth indossando un “bonnet rouge”, strizzando gli occhi alla rivoluzione: William Blake con i suoi canti innocenti ed esperti…
Attorno a lui un’umanità variegata che tende a descrivere gli aspetti caratteriali più evidenti:
il bellimbusto sciupafemmine, colto e raffinato, benestante esempio di borghesia rampante, tuttavia povero d’animo e deprivato di sentimenti empatici o anche solo di rispettosa umanità; i giovani e ingenui ragazzi provenienti dalla campagna, sperduti nella metropoli, ma saldi nei loro principi e valori; la giovinetta piena di potenzialità costretta per la sua condizione di umile figlia di lavandaia, e soprattutto di donna, a reprimere e soffocare le sue potenzialità e velleità di conoscenza e cultura; il pavido e ignorante carpentiere che trova il coraggio di manifestare la sua solidarietà con un pericoloso gesto di disobbedienza civile; la vecchia pettegola padrona di casa; il furbo e sprezzante popolano che addestra il figlio violento a guadagnare penny con mezzucci ai danni degli sprovveduti.
C’è un circo, il celebre circo Astley di Londra con i suoi artisti e con la piroettante Miss Devine.
Ci sono le carrozze e i vetturini; le donne imbellettate e le puttane.
Ci sono le fabbriche dove un’umanità bisognosa lavora indefessamente senza diritti e privilegi.
Ci sono i lavori tradizionali e ormai perduti proprio a causa delle suddette vituperate fabbriche come creare bottoni dal nulla o sedie windsor.
Ci sono perdite che segnano indelebilmente le vite di chi resta e ci sono delitti che smuovono coscienze e rompono legami prima di tutto con se stessi.
E poi c’è questa Londra di fine ‘700: lurida, sporca, nauseabonda.
Sembra di vivere sulla propria pelle quell’oppressione causata dal suo cielo plumbeo, dalla caligine, dal carbone bruciato per scaldarsi; si sente nel naso quell’odore di birra misto a sterco di cavallo, di sudore, di senape ed aceto, di cavolo e brodo di pollo.
Un libro interessante e coinvolgente.
Lento all’inizio e poi a mio parere conclusosi troppo in fretta lasciando domande aperte sul futuro dei protagonisti.
Un libro ben congegnato in cui i protagonisti si riscattano e si evolvono, cambiano per sempre comprendendo profondamente ciò che il poeta Blake canta nelle sue canzoni. Non è solo comprensione, ma anche accoglienza e accettazione del sé e quindi del diverso da sé.
“Cos’è che sta nel mezzo…fra le due rive del fiume?”
“Il mondo…noi.”
“Sì ragazzi. La tensione fra due forze contrarie fa di noi ciò che siamo.
Noi le abbiamo entrambe, mescolate nel cuore, dove si danno battaglia e mandano scintille. Non siamo solo luce, ma anche tenebra, non abbiamo solo la pace ma anche la guerra…”
Recensione di Belinda Mancini
Be the first to comment