L’Invincibile, di Stanislaw Lem (Sellerio)
“Quello che io so non equivale a quello che esiste. A quello che può esistere”
L’Invincibile è un incrociatore galattico in missione nella costellazione della Lira: deve recuperare la spedizione dell’incrociatore gemello Condor, atterrato sul pianeta Regis III e di cui da molto tempo ormai si sono perse le notizie. Con un equipaggio di più di 80 uomini, L’Invincibile tocca il suolo di un pianeta che apparentemente sembra innocuo: “nessuna radioattività, nessuna spora, batterio, muffa, virus, niente – solo quell’ossigeno… Regis è il posto più stupido che si possa immaginare. Il colmo dell’ inutilità”. Eppure per ordine dell’Astrogatore Horpach bisogna rispettare una procedura di sbarco di terzo grado, vale a dire massima allerta e protezione continua con campo di forza. Regis III può anche sembrare idilliaco, ma una nave spaziale e l’intero equipaggio sono spariti. L’avventura spaziale che Lem intreccia per noi alla ricerca degli scomparsi si tramuta rapidamente in riflessione esistenziale. Come nel suo capolavoro “Solaris”, Lem si interroga sulle diverse possibilità della vita (cosa è considerato vivente?) e sulle possibilità di incontro con altre forme di esistenza. Tre solo sono le possibilità: indifferenza, sopraffazione, accettazione. L’ultima via è la più difficile da mettere in atto, vigendo la “legge” della lotta per la sopravvivenza. Ed è da qui che si dipana il dilemma morale oggi più attuale che mai sul rispetto e la convivenza pacifica.
L’Invincibile si troverà ad affrontare realtà ignote e incomprensibili, sarà costretto ad affrontare il problema del limite della conoscenza umana e ad accettarlo (in “Solaris” Lem scriveva: “Dove non esistono uomini non possono neanche esistere motivi accessibili agli uomini”) comprendendo alla stesso tempo che “Non tutto è stato fatto per noi, e il nostro posto non è dappertutto”.
“Quanti di questi fenomeni incredibili, estranei alla comprensione umana, può nascondere il Cosmo? Dobbiamo proprio andare ovunque, con la potenza distruttrice delle nostre astronavi, per ridurre in frantumi tutto ciò che è contrario alla nostra comprensione?”
“L’essere umano -comprese in quel momento, senza bisogno di tante parole- non si è ancora elevato alle giuste altezze, non si è ancora meritato quella posizione che, glorificata da molto tempo, viene con un nella parola chiamata galattocentrica, che non consiste nel cercare e comunicare solo con esseri simili a noi, ma piuttosto nel non immischiarsi in questioni altrui, non umane. Conquistare il vuoto, certo, perché no, ma non aggredire ciò che esiste e che nel corso di milioni di anni ha creato un suo proprio equilibrio, non soggetto a niente e a nessuno tranne che alle forze elettromagnetiche e alle forze gravitazionali. Un equilibrio di esistenza, un’esistenza attiva, dinamica, che non è né migliore né peggiore dell’esistenza di quei composti di proteine che vengono chiamati animali o persone”.
Non migliore, non peggiore. Semplicemente diversa.
A queste considerazioni si aggiunge una interessantissima riflessione sulle possibilità di evoluzione non biologica, attualissima se si pensa a dove è arrivata ai giorni nostri l’intelligenza artificiale.
“Significa che era iniziata un’evoluzione inanimata, inorganica. Un’evoluzione di dispositivi meccanici. Qual è il principio base di un omeostato? Sopravvivere in condizioni mutevoli, anche nelle più ostili, nelle più difficili”.
Insomma, “L’invincible” è un libro datato ma con molti spunti di riflessione validi tutt’oggi.
Recensione di Benedetta Iussig
Commenta per primo