
LITTLE BOY BLUE, di Edward Bunker (Einaudi)

È il 1943, e Alex ha undici anni. I genitori sono divorziati da molti anni. Suo padre, cui è stato affidato, è un operaio, talmente povero che non riesce a pagarsi un appartamentino, sia pure ‘da poveri’, per poterlo tenere con sé. Eppure ama profondamente il figlio, che lo riama di un amore viscerale. Fino ad oggi, Alex è passato da una ‘Scuola Militare’ ad un’altra, ed ora suo padre è costretto a lasciarlo in una ‘scuola’ per ragazzi soli, con la promessa di andarlo presto a trovare. Ma Alex, sia pure nella sua breve vita, di scuole come quella ne ha già conosciute anche troppe, ed anche di promesse simili ne ha sentite tante, e sa che se non vengono mantenute è solo per colpa della miseria che li attanaglia. Lui vorrebbe solo qualcuno da amare, vorrebbe solo essere amato, ma per la ‘gente’ come lui non c’è speranza. Poco per volta ha trasformato il suo bisogno d’amore in rabbia, odio e rivolta feroce: contro l’Autorità, contro i ‘ricchi’, contro tutti coloro che non gli permettono una vita semplice e ‘normale’. Quest’ultima tappa sarà solo l’inizio della sua discesa nell’abisso: da una ‘scuola’ all’altra, da un riformatorio dall’altro, da un carcere all’altro, distillando la sua rabbia e la sua violenza. Ne uscirà a diciassette anni, un delinquente ‘fatto e finito’, come si suol dire, definitivamente incamminato sulla strada della perdizione.
Recensione di Giuliano Corà
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