LITTLE CHINA GIRL Massimiliano Scudeletti

LITTLE CHINA GIRL, di Massimiliano Scudeletti (Betti Editrice)

 

            Oriente e Occidente. Due mondi così diversi. Poi si mescola la realtà con il sovrannaturale. Il contemporaneo con il tradizionale. L’antico con l’effimero triviale. E la diversità diventa un ponte.

 

 

La canzone di David Bowie. Un titolo. Il titolo di questo romanzo. La strofa riportata a pagina 73 ci parla di un amore ponte fra Occidente e Oriente. Ma mette anche in guardia. Sono tanti i pericoli: insidie, tranelli sono dietro l’angolo. Opposte e contorte energie si attraggono e si respingono in un gioco di specchi e di riflessi dove la propria identità si sgretola in quello che invece sembra strutturarsi nel suo essere e divenire.

Proprio come le droghe, la canzone agisce sul suo pubblico e dona pace dei sensi e voglia di letargo, mentre tutto intorno infuria la bufera.

Ma di che tipo di tempeste stiamo parlando? E quante sono queste tempeste? Come fare per non soccombere? Sono le domande che si pone il protagonista, un video reporter di guerra, bello, muscoloso e guerriero che sembra camminare a grandi falcate nel lungo tunnel della Storia. Un antico Greco o un antico Romano, che via via si veste di tutti gli attributi dei cambiamenti epocali e che, senza sapere di che stoffa sono fatti i vestiti che indossa, intuisce il suo mancato senso di appartenenza a un periodo specifico, così come a una cultura piuttosto che a un’altra. Da dove gli viene questo istinto che lo porta là dove il pericolo produce morte?

 

 

 

Massimiliano Scudeletti indaga in questo libro il suo grande amore per l’Oriente. Lo fa incantando il lettore, scoprendo l’infinito, varcando i confini di mondi che vivono l’uno accanto all’altro, e cioè la Cina delle comunità nelle periferie o vie centrali di Firenze e Firenze che non riesce a svegliarsi dai suoi antichi giorni di gloria, chiusa nella sua eterna bellezza che rischia il collasso per mancanza di ossigeno.

Come un fiorentino Robert Van Gulick, l’autore sfrutta il piacere delle detective stories per trascinare il lettore nel suo mondo alla scoperta di quello cinese. Come il grande maestro olandese riconosciuto nella storia della letteratura mondiale per aver indagato i generi letterari polizieschi di due civiltà profondamente diverse (quella occidentale e quella cinese), Massimiliano Scudeletti mostra come varcare i confini di questi due mondi che a Firenze e dintorni convivono nella quasi totale indifferenza l’uno dell’altro.

Prima di entrare nella suspense dei delitti misteriosi da risolvere, l’autore ci fa sostare nell’anticamera del romanzo: il prologo. Qui le citazioni in esergo sono due finestre sui mondi che andremo a scoprire, due fili che l’autore-protagonista seguirà tenendoli per mano alle volte lottando per mantenere un terzo filo, il suo. Un filo che piano piano si separerà dagli altri, andando a chiarire alcuni tasselli fondamentali del proprio percorso identitario laddove le proprie origini sono terribilmente lacunose.

 

 

Quasi come in un viaggio iniziatico, dobbiamo imparare l’arte. Apprendere le skills per passare al livello superiore. In primis, è fondamentale familiarizzare con gli antichi detti cinesi, cominciando cono questo: «i mandarini attingono il loro potere dalle leggi; il popolo dalle società segrete (antico detto cinese)» (p 7) L’iniziazione prevede la conoscenza. La saggezza è il traguardo finale, ma per ora è importante conoscere gradualmente i passaggi e i concetti fondamentali della cultura orientale.

Appena fatto questo passo ecco però che ci viene chiesto di farne uno indietro. L’autore ci avverte. Ci ammonisce. Niente è come sembra. Quando crediamo di aver imparato qualcosa, spesso non è così. Il nostro io ci tiene intrappolati nei nostri limiti: «Da giovane ero uno sciocco. Perciò avviluppatemi nei sogni e nella morte.» (p 7)

L’altra citazione è presa in prestito da Neil Gaiman, scrittore, drammaturgo, regista inglese di origini ebraiche, che racconta storie affascinanti, ricche di mistero e sorpresa, mescolando generi come l’horror e il gotico, attingendo alla mitologia e filosofia antica come all’umorismo inglese più pop che ci sia.

L’arte da imparare è quella che insegna come uscire dal proprio io – piccolo e senza visione dell’infinito – e non è il Tai Chi, o il Karate: «non esistono le arti marziali esiste l’arte.» (p 68)

 

 

Ma non è facile: lo stesso protagonista (come il lettore) rischia di rimanere impigliato e soccombere al difficile compito iniziatico. Si chiama Alessandro Onofri. Lo conosciamo nel prologo, in Cambogia, da video reporter e poi in una sala da gioco clandestina nascosta in uno dei tanti capannoni in mano alle comunità cinesi che mescolano lavoro, famiglia e criminalità. Ecco il suo piccolo ego: una professione rischiosa e la passione per il gioco; ecco le due estremità che lo racchiudono nel presente.

Su queste due caratteristiche, fa leva Zio Hu, un boss della mafia cinese locale. Vuole convincerlo a indagare per lui: una giovane immigrata è stata uccisa in maniera brutale. Ed eccoci adesso (anche noi lettori) presi fra la morsa del presente e la necessità di appigliarci a qualcosa di più solido per venirne fuori. Questo qualcosa si chiama “arte”. Alessandro Onofri non lo sa ancora com’è fatta l’arte che deve imparare. Si muove come gli riesce sul crinale fra due mondi che lo contraddistinguono, uno per provenienza, l’altro per seduzione. Pratica il Tai Chi, ma apparentemente senza benefici: «fece qualche esercizio di Tai Chi cercando di concentrarsi sul Dantien, l’agopunto sotto l’ombelico. Avrebbe dovuto procurargli calma e lucidità. Ma nella sua testa continuava a vorticare il solito ritornello. Qual è il mio ruolo in tutto questo?» (p 88)

Quale filo seguire? «Era comunque un cammino che passava per la logica del combattimento, per l’accettazione della violenza, in un equilibrismo morale, che lo sapeva, prima o poi l’avrebbe compromesso.» (p 193)

Con grande talento, Massimiliano ci conduce in luoghi sconosciuti, fino alle appendici del monte Yunnan. La scrittura ci trascina contemporaneamente nel cuore delle tradizioni antiche cinesi e nel profondo del nostro io, attraverso le riflessioni e le domande di Alessandro. «Ma dove, dove dovrei guardare?» (p 211)

 

 

Siamo ormai giunti quasi alla risoluzione del caso, dopo una rocambolesca ascensione verso la vertà, arriva l’epilogo (con risvolti imprevedibili), il presente ritorna normale. Alessandro Onofri è ritornato nel seno della famiglia Su, la famiglia cinese che lo ha adottato come un figlio, nel lontano periodo in cui approdato a Firenze, non conosceva nessuno. E noi lettori ci siamo letti un thriller mozzafiato, abbiamo intrapreso un viaggio iniziatico e forse imparato qualcosa.

Forse no. Ma ci sentiamo appagati. Un senso di pace ci invade. Siamo contenti che Alessandro Onofri sia sano e salvo. Nella sua Firenze.  Siamo felici che sia riuscito a districarsi nel dedalo dell’arte, della storia, della vita. Che abbia ritrovato il ponte che lo conduce agli affetti veri, quelli delle persone che fanno la piccola storia, la storia degli affetti intimi, la storia che si chiama famiglia. O normalità. O presente. E il presente oggi a Firenze è anche cinese.

 

Recensione di IO LEGGO DI TUTTO, DAPPERTUTTO E SEMPRE. E TU? di Sylvia Zanotto  

 

 

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