LO STRANIERO Albert Camus

Lo straniero Albert Camus

LO STRANIERO, di Albert Camus

Recensione 1

Ho finito di leggere “Lo straniero”  il 7 novembre di questo strambo 2020, proprio il giorno dell’anniversario della nascita di Albert Camus

Coincidenza. Non lo so. So con certezza che Camus è uno degli scrittori che si avvicinano moltissimo al mio modo d’ interpretare l’esistenza.

Dopo aver letto “La peste”,  che mi ha letteralmente stregato,  “Lo straniero ” mi ha felicemente sconvolto e, cosa assurda ma vera, non so spiegarmi il perché. È probabile che tale mancanza di motivazione è da ricercare nel modo in cui vedo il mondo circostante: un insieme di volti e figure in chiaroscuro che si affaticano nel catalogare le apparenze in base a banali preconcetti ritenuti fondamentali dalla legge degli uomini.

Ho letto “Lo Straniero” a voce alta nella solitudine di una stanza assolata e ho ripercorso con l’enfasi dell’indifferezza
gli eventi di Meursault, senza farmi illusioni, senza cercare certezze, senza cadere nell’abisso della ragione o  senza salire nell’apice della trascendenza. Mi sono fatta trascinare dagli eventi del protagonista senza trarne opinioni né affrettati giudizi.

E come Meursault ho guardato la stanza nella sua essenzialità immortalando ogni singolo particolare nella mia memoria,  riuscendo a estraniarmi dal “grande” mondo:  è stato bello!

La libertà del non decidere, di non gravarsi di responsabilità lasciando al caso la scelta, qualunque essa sia, ecco come vive Meursault. E dall’unica certezza di una inevitabile universale  condanna, che sia sentenziata dalla giustizia umana o divina, assaporare attimi memorabili di pura felicità in quei momenti di chiara e limpida facoltà di ricordare
Cercare di occupare quell’inevitabile scorrere del tempo colmando i  vuoti di una noia moraviana con i particolari dei particolari con cui si è riempita la memoria, ecco il segreto!  Perché prima o poi tutti siamo condannati all’oblio, al vuoto senza possibilità alcuna, alla faccia della promessa trascendentale di un Dio che ha condannato l’umanità già dalla sua creazione.

E allora perché perdere tempo nel decidere se l’epilogo è inevitabile? Se siamo puniti a spingere quel  masso fino alla sommità di un monte dal quale  rotola inesorabilmente a valle costringendoci a ricominciare da capo l’inutile impresa, beh almeno godiamoci il continuo e ripetitivo tragitto registrando nella memoria  scene di  personale quotidianità che ci permetteranno di sorridere nei buchi del tempo.

E ciò non significa fregarsene del mondo o avere una visione negativa dell”esistenza. Anzi. Significa non instaurare alcun rapporto con il mondo, non lasciarsi travolgere da sterili emozioni, scialbi pietismi, eclatanti buonismi, ipocrite generosità e avere la lucida, piena consapevolezza della sorte di ogni esistenza, nella sincera e piena fiducia in ciò che non sarà mai.
E allora ditemi: quante volte avete provato quel senso di estraneità in contesti  familiari? Quante  volte siete rimasti insensibili in situazioni dove altri hanno pianto? Quante volte non avete provato coinvolgimento in una grande tragedia? Quante volte siete stati giudicati colpevoli malgrado la vostra innocenza?
Siate sinceri.

P.s. il vero colpevole è il sole con i suoi inesorabili, impassibili, immutabili, egoistici, roventi raggi di luce.

Recensione di Patrizia Zara

 

Recensione 2

Qualsiasi riflessione, qualsiasi frase non può che apparire banale se riferita ad un capolavoro come questo.

La vicenda è ambientata in un paese vicino ad Algeri, il personaggio principale è Meursault, un modesto impiegato di origine francese.

Il racconto prende avvio con la morte di sua madre, ricoverata da tempo in un pensionato, ormai anziana e in precarie condizioni di salute.

 

Lo straniero Albert Camus

Meursault reagisce con assoluta indifferenza a questa perdita, infastidito dall’interruzione della sua quotidianità, non rinuncia alle sigarette e al caffè ma rinuncia, senza alcun ripensamento, a dare un ultimo sguardo alla madre.

Tutti restano colpiti dal suo comportamento.

Anche il lettore non può che rimanere sbalordito leggendo l’incipit “Oggi la mamma è morta. O forse ieri non so”.

Il racconto è fatto il prima persona, Meursault non manca di descrivere la propria estraniazione e l’enorme distanza che lo separa da ciò che lo circonda.

Fin dalle prime pagine ci è chiaro che egli è indifferente a tutti i fatti della vita: sembra quasi che egli guardi scorrere i propri giorni come un viaggiatore che osserva il paesaggio dal finestrino di un treno senza fermate.

Nulla lo coinvolge, è emotivamente indifferente, apatico, anaffettivo.

Straniero a tutto, straniero alla sua stessa vita.

Appena seppellita la madre, va in spiaggia dove incontra una conoscente della quale non disdegna le attenzioni, ma è solo una questione fisica, i sentimenti non entrano in scena.

La povera Maria, illusa di vivere un amore, ben presto è costretta a vivere in silenzio il dolore per il netto rifiuto ricevuto in risposta alla sua proposta di matrimonio.

Le giornate si svolgono in una quotidianità grigia e stanca.

 

Sigarette, fumo, stanze disordinate e sporche, vicende balorde e laide costituiscono quella routine che Meursault difende da tutti i possibili cambiamenti.

Il destino del nostro protagonista subisce però, inaspettatamente, una brusca svolta.

Dalle giornate piene della luce di un sole accecante sprofondiamo in un buio claustrofobico.

Se all’inizio sembra soffrire di questa nuova situazione, ben presto arriverà l’abitudine e con essa l’indifferenza a tutto.

La prosa diretta e lucida evoca immagini del cinema del neorealismo.

Una scrittura è asciutta, immediata, per la quale ogni aggettivo risulta inadeguato.

Recensione di Gabriella Calvi

 

Recensione 3

Meursault è apparentemente un uomo medio, cosciente del fatto che in quanto uomo ha delle responsabilità socialmente riconosciute, e vi aderisce: mette sua madre in un ospizio perché oggettivamente non può garantirle le cure necessarie, lavora e lo fa con spirito di dovere, risponde alle relazioni minime che vengono riconosciute come amicali, con fedeltà e disponibilità.

 

 

Ciò che disorienta è la totale distanza emotiva e valoriale che egli ha naturalmente da tutto questo. Camus ci parla di un uomo estraneo prima di tutto a se stesso, privo di slanci e desideri, che asseconda i suoi giorni e le persone che li attraversano senza porsi domande, ma è tanto distante quanto onesto, trasparente, naturale, vicino ad un’ovvietà delle cose che lui guarda senza timori e che invece terrorizza la gente comune. Ed è forse questa trasparenza, che mette a nudo il vuoto esistenziale che accompagna Meursault, a determinare la sua condanna.

 

Non il reato dì cui si macchia, sembra determinare la sua condanna, ma l’assenza di giustificazioni, e l’assenza di un comportamento emotivo che il senso comune si aspetta e anzi non può accettare. Tuttavia Meursault, lontano dalle persone e dai sentimenti, vive un profondo sentire del mondo circostante, egli vive e descrive intimamente i suoni della città e della notte, gli odori del mare e dei luoghi, ogni declinazione di colori del cielo e delle nuvole.

E credo che Camus intenda farci riflettere che un sentire è sempre possibile anche se si differenzia da ciò che la gran parte della gente ritiene indispensabile, che vivere la vita può comportare la possibilità di non scegliere e che alla fine certamente si paga per gli errori commessi, e che se non vengono vissuti come gli altri si aspettano, puoi pagarli solo ad un prezzo più alto e mai con uno sconto.

Recensione di Grazia Lomonaco 

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