L’UCCELLO DIPINTO, di Jerzy Kosinski (Minimum Fax)
Recensione 1
Durante la Seconda Guerra Mondiale un bambino, forse ebreo, viene separato dalla sua famiglia e si ritrova abbandonato nella parte più remota e arretrata dell’Europa Orientale, verso la quale sta avanzando il fronte.
Costretto a vagare di villaggio in villaggio, il bambino è testimone di quanto possa abbrutirsi la natura umana in quei luoghi abbandonati e selvaggi, privi di ogni traccia di civiltà, dove le comunità si reggono solo sull’esigenza di sfogare i più bassi istinti, mostrando l’aspetto più abietto dell’umanità.
Vivendo a contatto con quella gente rozza, crudele, dominata da superstizioni e priva di riferimenti culturali, il giovane protagonista, diverso non solo per l’incarnato olivastro e i capelli scuri, ma anche perché parla nella lingua che ha imparato a scuola e ha modi da cittadino, viene fatto oggetto di odio e violenze di ogni tipo, ma quando finalmente la guerra finisce e gli è concesso di rientrare nella civiltà, ormai il suo reintegro non è più possibile, perché si è trasformato anche egli in una bestia.
Romanzo breve, notevolmente intenso, forse autobiografico, questo lavoro di Kosinsky è venato di un profondo pessimismo e decisamente lontano dai racconti di solidarietà a cui ci ha abituato un certo tipo di narrativa recente: non c’è accoglienza per un bambino ebreo in fuga dai nazisti, nessuno lo nasconde, nessuno lo aiuta, anzi, dopo averlo individuato diviene valvola di sfogo delle peggiori bassezze. La mancanza di cultura, elemento che per tutto il romanzo viene sottolineato, riconduce allo stato di ferinità e alla scomparsa di compassione e altruismo, trasformando il viaggio del piccolo protagonista in una discesa all’inferno, inferno dal quale non c’è ritorno, come esemplifica la storia dell’uccello dipinto del titolo e che riassume il dramma di ogni emarginato.
Scritto con lo stile di un racconto popolare, con pochissimi riferimenti temporali, quasi che l’epopea narrata possa essere trasportata in ogni luogo e tempo si verifichino le medesime condizioni di vita di quell’Europa negli anni 40, L’Uccello Dipinto è un romanzo in cui traspaiono evidenti accuse e rancori, sul quale critica e lettori si dividono fin dalla sua uscita, negli anni 60, interrogandosi su quanto ci sia di vero e quanto di costruito in questo allucinato racconto.
Per quanto mi riguarda, consiglio la lettura a chi non teme di imbattersi in scene crude, mai gratuite, e intende seguire un’interessante analisi sociologica, piuttosto che la diatriba sul reale comportamento dei contemporanei all’epoca dei fatti
Recensione di Valentina Leoni
Recensione 2
Dopo le primissime pagine de “L’uccello dipinto”, ho subito sentito dei richiami, delle assonanze con un altro romanzo, forse quello che più di tutti ha segnato la mia esperienza di lettrice, ovvero “Trilogia della città di K” della Kristof.
Ora come allora, mi sono sentita sopraffatta dalla quantità di violenza e atrocità descritte, dalla brutalità che nasce dall’angoscia e dalla disperazione.
Ora come allora, la consapevolezza di quanto la guerra distrugga anche l’ultimo barlume di umanità, mi ha lasciata senza fiato, senza parole, senza.
Seconda guerra mondiale.
Europa dell’est.
Un bambino.
Seguiamo le vicissitudini di un bambino ebreo di 6 anni, senza nome, i cui genitori, allo scoppiar della guerra, affidano alle cure di una contadina, in un remoto e innominato villaggio della regione, per salvarlo dall’invasione nazista.
La donna, anaffettiva, sporca e superstiziosa, ben presto morirà, e per lui avrà inizio la sua personale lotta per la sopravvivenza, un continuo peregrinare attraverso villaggi abitati da fattori e contadini che non lo vogliono, che lo guardano con sospetto per i suoi colori scuri, considerandolo uno sporco zingaro portatore di disgrazie e malefici.
Proprio come l’uccello dipinto dall’uomo, simbolo della diversità, di chi viene perseguitato dai suoi simili per i suoi colori, pur appartenendo alla stessa specie.
Dovrà scontrarsi contro l’ignoranza, la superstizione, la povertà, la perversione, la malattia, la brutalità più estrema…fino a quando, violenza dopo violenza, non smarrirà completamente anche il suo personale senso di pietà umana.
Spesso si diventa cattivi non per scelta, ma per necessità, per sopravvivenza.
Il dolore, superato un certo limite, ci cambia per sempre.
Kosinski ha voluto contrapporre l’uomo, nel suo stato più puro e vulnerabile, ovvero quello dell’essere ancora bambino, con la società nella sua forma più letale e degradante, la guerra.
Ne viene fuori un’immagine perfetta della condizione anti-umana.
“L’uccello dipinto”, fin dalla sua pubblicazione, è stato oggetto di critiche feroci e bandito totalmente nei paesi dell’Europa orientale, dove venne considerato calunnioso nei confronti delle tradizioni locali e del modo di vivere dei contadini di quelle regioni.
I cittadini di quella che era stata la patria di Kosinski, la Polonia, lo hanno accusato di tradimento, ignari di essere vittime di quelle stesse forze da cui il protagonista del libro si è salvato (pagando un prezzo altissimo in termini di umanità).
Kosinski ci racconta una favola nera, feroce, ai limiti dell’insopportabile, in cui rielabora i fantasmi e le paure della propria infanzia, e dove, con un tono lucido e distaccato, ci aggredisce e ci lascia inermi, incapaci di metabolizzare così tanta crudeltà, ma allo stesso tempo, incapaci di smettere di leggere.
Bellissimo, ma solo per stomaci forti.
Recensione di Antonella Russi
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