LUCKY, di Alice Sebold
Recensione 1
Non è un romanzo ma l’autobiografia di uno stupro, del processo che ne seguì e delle conseguenze anche a lungo termine.
All’autrice fu detto che era stata fortunata, a differenza di una ragazza che, nello stesso luogo, era stata uccisa. Di qui il titolo. Ma le “fortune” della protagonista non si fermano a questo: lei bianca, studentessa, appartenente alla classe media, lo stupratore nero, con qualche precedente criminale. Lei vestita, la sera dell’aggressione, in modo decisamente non provocante, l’aggressore abbastanza sciocco da lasciarla parecchio malconcia e da rivolgerle sfacciatamente la parola alcuni mesi dopo. Nonostante ciò il processo non sarà affatto facile.
Crudo senza compiacimento, come solo le narrazioni dal vero, ma a lungo sedimentate, riescono ad essere, questo libro colpisce soprattutto per le vicissitudini relative alla vicenda giudiziaria e a quella psicologica. Le emozioni, le reticenze, i meccanismi di difesa sono posti sotto gli occhi del lettore con abilità e delicatezza.
Naturalmente la storia è pienamente inserita nel suo contesto: gli USA degli anni ’80, ma non per questo troppo lontana, purtroppo, dalle vicissitudini legate ad uno stupro in un altro paese.
Meno poetico di Amabili resti, che è un vero romanzo, Lucky ci presenta le conseguenze, anche relazionali, della violenza sessuale e si conclude come fa spesso la vita, lasciandoci con l’amaro in bocca.
Recensione di Maria Cristina D’Amato
Recensione 2
«Sono passati trentasei anni da quando sono stata violentata, diciotto dalla prima edizione di Lucky, e solo due mesi da quando un molestatore seriale nonché orgoglioso palpeggiatore di figa è stato eletto quarantacinquesimo presidente di questi Stati Uniti. Da parte mia, come molte altre donne sopravvissute a un’aggressione sessuale, sono rimasta atterrita, anche se forse non esterrefatta, dall’esito delle elezioni del 2016. Nella vita della maggior parte delle vittime di stupro un’indescrivibile ingiustizia è la norma. L’esito della mia storia personale resta, a trentasei anni di distanza, più equo di quanto non avvenga nella maggior parte dei casi. La mia vicenda ha avuto l’inizio, lo svolgimento e la fine che la maggior parte dei processi per stupro non ha. Lo stupratore è stato arrestato, processato, condannato e ha scontato quasi vent’anni di galera. Paragonate tutto questo a certe sentenze da due o tre mesi a cui abbiamo assistito di recente, l’equivalente di una semplice bacchettata sulle mani, e comincerete a capire che ho scelto il titolo Lucky sia perché in effetti sono stata molto fortunata, sia perché l’ironia contenuta nel nostro modo di definire la “fortuna” sembra non finire mai. […] Questa edizione di Lucky è dedicata a tutti coloro che hanno subìto una qualunque forma di abuso sessuale. Quando agiamo in gruppo siamo più forti che mai».
Io ed Alice siamo coetanee e amiamo entrambe la poesia. Solo che lei è stata stuprata e io no. E come viene sottolineato nel libro, dopo uno stupro il mondo si divide in due: il prima e il dopo, chi ha subito una violenza, chi no. Diventa difficile per me parlare di questo libro proprio perché appartengo all’altra metà e qualsiasi mia parola non sarà mai proferita in vera cognizione di causa.
Eppure bisogna parlarne, eppure dobbiamo fare tutti un’analisi di coscienza e sradicare dai nostri pensieri tutte quelle erbacce che contengono stralci delle violenze subite. Un processo vero che andrebbe fatto è un processo alla nostra cultura che da qualche parte accetta nei gesti quotidiani anche se pur minima la violenza che diventa in casi estremi stupro. Ecco perché è importante nominarla questa parola, come viene ripetutamente ribadito in “Lucky” e come ad una presentazione l’autrice istiga le sue ascoltatrici a non aver paura di questa parola: «Stupro. È questa l’esperienza orribile che ho vissuto.
Dobbiamo almeno imparare a pronunciare la parola. Facciamolo tutti insieme, d’accordo?». E così tutte insieme all’inizio ripetono la parola ‘stupro’ in un sussurro che piano piano diventa un urlo liberatorio. Un coro al femminile. In una poesia che la protagonista-autrice scriverà in un corso universitario di scrittura creativa, viene esplicitamente espresso tutto l’odio e la rabbia nei confronti del violentatore:
«Poi
Ti taglierei la lingua
Non potresti più bestemmiare, né urlare.» (p.129)
E qui si silenzia una voce violenta maschile che a me piace contrastare al coro femminile che ripete fino all’ossesso la parola ‘stupro’. Ma poi ecco che la poesia si fa ancora più crudele, in un crescendo che replica la violenza dello stupro subito, ora sono gli occhi che devono essere colpiti:
«Cosa ne dici se ti cavassi quei dolci
Occhi bovini con le lame dei vetri
Su cui mi hai fatto stendere?» (p.129)
Perché è proprio attraverso la scrittura, è proprio dando voce al proprio legittimo odio e alla propria legittima rabbia che inizia il percorso di redenzione per la protagonista-autrice: «Nel 1981, subito dopo il mio stupro, promisi a me stessa che se fossi sopravvissuta ne avrei scritto. Ero una matricola.
diciottenne e scrivevo e leggevo ossessivamente poesia. Divoravo riviste astruse e frugavo le vecchie librerie alla ricerca di arretrati di Poetry o American Poetry Review (APR). La poesia per me era ossigeno. […] a diciott’anni nutrivo una fede assoluta in quello che, detto in termini generali e in base alla mia concezione dell’epoca, è ‘il potere dell’arte’».
Dalla poesia alla prosa è il passo successivo che l’autrice compie per narrare la sua storia e rendere un pezzo della sua vita pubblico. Per condividere la rabbia e il dolore, ma anche la determinazione a non soccombere, a non subire la doppia violenza dello stupro che si estende a macchia d’olio nel dopo. Un libro denuncia, un urlo d’amore per la vita anche nella sua seconda manifestazione per chi ha un dopo nella sua vita. TO BE READ ALOUD. DA LEGGERE AD ALTA VOCE. E SPERARE CHE GENTE SIMILE NON VENGA MAI PIÙ RIELETTA PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI.
Recensione di IO LEGGO DI TUTTO E TU? di Sylvia Zanotto
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