Mašen’ka, di Vladimir Nabokov (Adelphi – settembre 2022)
Anno 1926 Il ricordo di Masenka, suo grande amore, durante l’attesa del suo arrivo, altro non è che il ricordo felice ed insieme doloroso della sua amata Russia dalla quale il protagonista, Ganin, era fuggito a causa della rivoluzione del 1917 rifugiandosi a Berlino. La separazione era stata così dolorosa che egli non conservava più alcun ricordo della sua vita in Russia e trascinava così la sua insulsa esistenza bighellonando nella pensione ove occupava una stanza e nelle vie di Berlino.
L’arrivo annunciato dall’attuale marito, anch’egli ospite pagante della pensione, di un suo amore giovanile, Masenka appunto, risvegliava in Ganin i ricordi che credeva perduti. Questa è la dolorosa esistenza degli esiliati russi, sembra dire Nabokov (che affronterà il tema a lui tanto caro perché vissuto in prima persona in altri romanzi e lo approfondirà in tutte le sue contraddizioni proprio nel mio amato “Pnin”) e prima o poi occorre farci i conti. Ed è così che il protagonista attraverso un amore che crede rinato, rivive i ricordi che credeva perduti e cioè tutti gli anni passati in Russia.
Si accorgerà che sono solo ricordi e che la sua vita adesso è diversa solo quando alla stazione, aspettando Masenka, comprenderà di non amarla più e riuscirà così a continuare la sua vita in giro per l’Europa, essendosi però riappacificatosi con il suo amato e doloroso passato.
Recensione di Barbara Gatti
Commenta per primo