MENO DI ZERO, di Bret Easton Ellis
Ho letto questo libro contemporaneamente ad altri due, Emma di Jane Austen e Le avventure di Pinocchio di Carlo Collodi.
Non avevo letto nulla di Ellis prima, non lo conoscevo proprio, mi è capitato di imbattermi nel suo nome leggendo e informandomi su David Foster Wallace, durante la lettura di Infinite Jest, niente di più.
Mi ha incuriosito l’accesa rivalità che li ha coinvolti.
Due scrittori agli antipodi con posizioni distinte non solo stilistiche ma anche umane: uno yuppie benestante della costa occidentale e un nerd della middle class del Midwest.
Ellis freddo, distaccato, glaciale nella sua narrativa, e invece Wallace più introspettivo, più mistico quasi, alla ricerca di una nuova forma di scrittura che potesse ridare una dimensione ad una esistenza priva di guide.
Ellis che descrive il marcio del tempo, il nulla e il vuoto che gli sta intorno e Wallace dove invece io, nello stesso buio, ho scorto uno spiraglio di luce.
“Nei tempi bui, quello che definisce una buona opera d’arte mi sembra che sia la capacità di individuare e fare la respirazione bocca a bocca a quegli elementi di umanità e di magia che ancora sopravvivono ed emettono luce nonostante l’oscurità dei tempi”
Ellis, esattamente come Wallace, mi ha lasciato senza fiato, sgomenta, attonita, atterrita.
Meno di zero…zero significa niente, nulla, né positivo, né negativo. Qualcosa che sia meno di zero è qualcosa di inimmaginabile.
Eppure questa è la condizione in cui vivono i protagonisti, tutti o quasi, di questo romanzo.
Sono tutti giovani e giovanissimi, poco più che adolescenti che semplicemente si lasciano vivere, tra un locale e l’altro, tra un tiro di coca e una pasticca di acido, una sbronza pesante e una notte di sesso ai limiti.
Zero relazioni vere, zero amore, zero famiglia, zero empatia, zero rimorsi, zero rimpianti, ma soprattutto zero futuro, zero aspettative, zero ambizioni, zero vita.
Il protagonista Clay, un ragazzo di una ricchissima famiglia di Los Angeles, hai dei ricordi a cui aggrapparsi quando è ormai al limite, ricordi d’infanzia, vacanze passate coi nonni.
Ma neanche questi riescono a salvarlo.
Clay ad un certo punto si spinge al limite, sperando forse poi di poter risalire, ma…
“E mentre l’ascensore ci porta giù, oltre il secondo piano, oltre il primo, ancora più giù, mi rendo conto che i soldi non c’entrano. Che quello che voglio è toccare il fondo.”
Una generazione che ormai non ha nulla più da perdere, che non ha voglia di andare da nessuna parte.
Quanto sono lontani Dean e Sal, i due amici protagonisti del capolavoro di Kerouak “Sulla strada”. Anche loro ragazzi senza inibizioni, droga libera, sesso libero, liberi da preconcetti e pregiudizi ma comunque alla ricerca di qualcosa, della perla dell’esistenza, alla ricerca della Beat…itudine! Una gran voglia di andare, di scoprire, di esplorare, di sentire battere il cuore.
In Meno di Zero invece ragazzi e ragazze tutti uguali, belli, ricchi, biondi e abbronzati, senza più nessuna prospettiva di futuro.
“…sembrano tutti uguali: sottili, abbronzati, capelli biondi e corti, occhi azzurri dallo sguardo vacuo, stessa voce vuota e monotona, e così comincio a chiedermi se sono anch’io come loro”
Quello che manca in questo romanzo è l’amore, per sé stessi e per gli altri, manca il rispetto per sé stessi e per gli altri, manca la condivisione e l’ascolto reciproco.
Non si possono leggere 190 pagine di tutto questo senza aver bisogno di un rifugio, di un porto sicuro, di una via d’uscita, che ho trovato in Emma e in Pinocchio.
Perché è proprio così: i grandi classici sono una salvezza e un punto di ripartenza. Ci aiutano a capire quali sono i valori su cui vale la pena fondare la propria vita.
Amore, liberà, dialogo, rispetto, ironia, scontro e incontro come in Emma.
Ma non ci addolciscono comunque la pillola.
Pinocchio ci insegna che la discesa agli inferi è necessaria, che per trovare la retta via bisogna per forza prendere vie traverse.
Ma in Ellis purtroppo nelle vie traverse si resta imprigionati…
“Le immagini che mi passavano per la testa erano di gente impazzita perché viveva a L.A. Immagini di genitori così insoddisfatti e affamati che si mangiavano i figli. Immagini di ragazzi della mia età che alzavano gli occhi dall’asfalto e restavano accecati dal sole. Queste immagini non mi abbandonarono nemmeno quando lasciai la città. Immagini così violente e malvagie che diventarono il mio unico punto di riferimento per molto, molto tempo”
Buona lettura!
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