LE METAMORFOSI Ovidio
“Tutto si trasforma, nulla muore”
Ma al di là del contenuto, è la narrazione che per me ha qualcosa di prodigioso. Non è strutturata per racconti isolati, non per capitoli tematici. E’ un unico fluire, un gioco ad incastri in cui non si vede un centro, difficilmente si risale all’inizio e la fine è in divenire continuo. Un narratore prende la parola e racconta una storia, i cui protagonisti a loro volta raccontano storie, i cui protagonisti raccontano storie, e così via. Un passaggio di testimone da uno all’altro. Un racconto corale. Una specie di labirinto, in cui si corre a perdifiato come a rincorrere una piuma svolazzante; un labirinto da cui si fa fatica ad uscire, a meno di non possedere le ali di Dedalo e Icaro (ma attenzione a non volare troppo in alto). Sia in un senso che in un altro, svolgere il filo non è facile.
Non c’è nemmeno una linea diritta su cui procedere, perché la narrazione fa delle curve, nuove storie sbocciano lungo il percorso come fiori sui rami. Il filo che teniamo in mano si sfalda in tanti fili. Si cambia strada per un po’, si viaggia paralleli, e poi… non si sa. Il nostro viaggiare è ingarbugliato, insensato: fa salti, deviazioni, torna sui suoi passi, torna al punto di partenza per prendere nuove strade, oppure percorre la stessa strada ma non la si riconosce.
Una cosa non rimane mai uguale a se stessa (tutto scorre, diceva Eraclito).
Noi non siamo storie a sé stanti, ma parte di una storia più grande.
Il nostro viaggio non è diritto.
Leggere Ovidio, a distanza di 2013 anni (se si accetta 8 dc come data di stesura) è stata un’esperienza. Rimarrà sul mio comodino per tantissimo tempo
Recensione di Benedetta Iussig
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