MILANO PASTIS, di Davide Pappalardo (Excalibur)
Milano-Pastis…il titolo mi ha immediatamente riportato indietro nel tempo, quando ero piccola e mio papà, soprattutto in estate, preparava per gli ospiti un aperitivo a base di questo liquore francese.
Ricordo il profumo di anice e le serate ad osservare i “grandi” che chiaccheravano sul terrazzo di casa, a Milano, a ridosso dello Stadio di San Siro.
Subito sono entrata in sintonia con la storia narrata in questo romanzo, mi sono persa per le vie di Milano, ho sorriso leggendo le parole in dialetto immaginando le “sciure” che bevevano un caffè in centro.
Milano-Pastis è un romanzo poliziesco, basato su un fatto di cronaca vera, le cui vicende si snodano tra Milano e Parigi, la malavita italiana e quella francese (marsigliese soprattutto, ecco perché Pastis, noto liquore originario proprio di Marsiglia), le prigioni italiane e quelle francesi, i commissariati delle due metropoli.
Il romanzo viene introdotto da una prefazione di Gian Luca Margheriti, scrittore e fotografo milanese, e da splendide illustrazioni d’epoca.
15 aprile 1964, Milano viene colpita nel suo cuore, nel suo centro vitale e più prestigioso, nel suo salotto di lusso.
La nota gioielleria Colombo di Via Montenapoleone viene rapinata in pieno giorno a colpi di mitra.
Da subito gli inquirenti capiscono che non si tratta di un furto qualunque, che dietro questa operazione così plateale non possono esserci i piccoli ladruncoli della malavita locale. Dietro c’è sicuramente ben altro!
“Dovrà essere qualcosa di sensazionale, di cui far parlare a lungo. Una vera e propria azione di violenza, in pieno giorno, in pieno centro, in una città ricca come Milano. Non un semplice atto criminale. Ma qualcosa che lasci un ricordo duraturo nelle teste della gente.”
Le indagini rimbalzano tra la questura di Milano e quella di Parigi.
Due commissari agli opposti: il Commissario Nocera, siciliano di San Cataldo, che si vanta di non aver mai letto un libro e cita Pirandello a sproposito, ha un’intelligenza concreta, non perde tempo ed è intuitivo.
“Come mai ha scelto questo mestiere? – “Che dovevo fare, Blanchard. Tutti mi rivolgono sempre questa domanda, ma io non avevo molta scelta: o facevo questo o facevo il prete oppure il delinquente. Quello del poliziotto era l’unico mestiere per cui non era richiesta la vocazione”.
Dall’altra parte c’è il Commissario Blanchard, amante della musica classica, più riflessivo, più ordinato, più metodico, elegante nei modi nonostante la mole, raffinato, un gran signore.
“Si compiace del suo essere british e di essere un francese molto anomalo con la sua passione per il thè”.Due mondi diversi che si completano e si aiutano, nonostante la rivalità, in nome della giustizia.E poi ci sono i veri protagonisti della storia, “gli uomini d’oro di Via Montenapoleone”.
Una banda italo-francese di delinquenti messi insieme da Jo, le Maire, il Sindaco.
Nato e cresciuto nei bassifondi, uomo senza via di scampo, senza possibilità di redenzione.
“Le zecche tu ce le hai attaccate addosso dalla nascita. E te le porterai pure sotto quattro metri di terra. E non è finita. Perché tu muori ma quelle merde, scavano e scavano e poi vanno ad attaccarsi sulla schiena di qualche altro povero cristo, per tirargli il sangue e ricominciare daccapo”
Esattamente come un virus che si espande là dove trova un corpo debole; e lo trova Jo, in una marmaglia di evasi, tra i quali spicca uno su tutti: Robert Bresciani, un duro, affascinante, tenebroso, passionale, bello come un attore.
“Lui, l’ultimo ciak, in qualunque posto e in qualunque momento avverrà, lo girerà allo stesso modo in cui ha vissuto la sua vita, in maniera impeccabile, sarà elegante e profumato”
Un uomo nato nel posto sbagliato, nella famiglia sbagliata, che si è adattato alle condizioni in cui si è trovato, che ha dovuto sopravvivere, sgomitare, arrancare per non venir inghiottito dal fango.
Un duro che non muore mai o che cade in battaglia.
Ma ha conservato comunque e nonostante tutto una parte luminosa, una goccia di bene in una vita che gli ha mostrato solo male.
Lo stile e il ritmo non permettono di perdersi, ci si ritrova ora in prigione, ora in commissariato, ora in un night club, ora in un bilocale di un quartiere malfamato di periferia, ora in un lussuoso caffè milanese.
Accurato lo studio dei personaggi e delle ambientazioni.
Notevole la cura dei dettagli, non mancano momenti di comicità e ironia e di amore…sì c’è anche quello, ma non posso certo svelare tutto!
Insomma, un poliziesco “di stile”!
Buona lettura!
Recensione di Cristina Costa
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