NAHUI, di Pino Cacucci
Città del Messico, nel piazzale antistante il Palacio de Bellas Artes una strana donna anziana, appesantita, vestita di stracci colorati, offre a chi passa cartoline in cambio di qualche pesos.
Un giovane poeta le si avvicina incuriosito e scopre che quelle cartoline ritraggono la donna da giovane, nuda e bellissima, immortalata dal grande fotografo Antonio Garduno.
“L’ingiuria del tempo ha reso pesante quel corpo adorato da tanti, ha avvizzito il volto immortalato da artisti e cantato da poeti. Nessuno la riconoscerebbe più sugli affreschi di Diego Rivera poco più in là. Eppure malgrado tutto i suoi occhi sono in grado di ammaliare chiunque incontri il suo sguardo; occhi grandi,smisurati, spalancati sulla realtà senza più coglierla, occhi di un verde smeraldo che virano al turchese e al viola”
L’uomo le rivolge la parola, spaventato dal suo fissare immobile a occhio nudo il sole e le chiede: perché lo fa?
“Ogni giorno aiuto il sole a nascere. E poi a morire”.
Ecco quello che resta di Carmen Mondragòn, la donna più bella di Città del Messico, che nei primi anni del ‘900 tutti conobbero come Nahui Olin. Così la chiamò il suo primo grande amore, il pittore Dr. Atlas, così la chiamarono tutti, famosi o meno, incantati dalla sua bellezza e dalla sua forza.
Pino Cacucci cerca di restituire il ritratto di una donna che fu anche pittrice, poetessa, musicista, oltre che musa ispiratrice di artisti, durante gli anni del Messico di Zapata e Pancho Villa.
Mi piacerebbe leggere altro su di lei; Cacucci fa un racconto interessante della sua vita che però rimane abbastanza in superficie, ma forse, con i documenti a disposizione, non è possibile andare oltre. Resta la figura di una donna libera e volitiva in un paese dove tutto era in fermento.
Recensione di Elena Gerla
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