NASO DI CANE, di Attilio Veraldi (Homo Scrivens – novembre 2022)
Naso di cane, un noir pubblicato due mesi fa dall’editore Homo Scrivens, è stato scritto nel 1982, 40 anni addietro, da Attilio Veraldi: uno che sapeva usare le parole, traduttore dei romanzi di Raimond Chandler, Dashiel Hammet e Patricia Highsmith e a sua volta autore di polizieschi famosi come La mazzetta che diventò un celebre film; così pure da Naso di cane fu tratta una serie televisiva.
Pareva che su Naso di cane il tempo avesse steso un velo di oblìo che solo ora viene squarciato da questa recente edizione. Ed è un bene che il libro sia riemerso, perché si tratta di un’opera da non perdere sia per gli amanti del genere, sia per quanti vogliano trovare un esemplare spaccato collettivo della criminalità napoletana: un originale antesignano di Gomorra, è possibile sostenere senza tema di smentita.
Ciro Mele, detto Naso di cane, è assassino di mestiere, fa il sicario in proprio, pronto a eseguire le commissioni mortali di chiunque, a patto che paghi bene: un guerriero solitario ed emblematico dei nostri tempi, si direbbe, in realtà un emarginato che si crede invincibile a cavallo della sua Guzzi California e con la fida pistola Smith 59.
Nel romanzo, attorno alla parabola di Ciro Mele, si susseguono le imprese della malavita napoletana che si è evoluta dal contrabbando fiorito nell’immediato dopoguerra: il racket dei cimiteri, quello delle corse dei cavalli e delle scommesse clandestine, del taglieggiamento, dello sfruttamento della prostituzione, il grande affare della droga, l’impunità dei boss in doppiopetto garantita dal saper stare dietro le quinte senza troppo apparire e dalle complicità in alto loco, insieme agli sforzi della polizia per tentare di arginare fenomeni profondi e diffusi.
In realtà, nonostante l’enorme giro di danaro, ci viene svelata una sequela di vite deprimenti e miserevoli, quasi primitive nei rapporti tenuti con rudimentale rozzezza, segregate dal dominio della paura e dall’esistenza spesso logorata in squallidi nascondigli, esposte ai rischi delle vendette e dei tradimenti senza fine che fa dire al commissario Apicella: “… oggi chi traffica in droga, per esempio, deve coprirsi le spalle, quindi si crea la sua organizzazione di assassini. Altrettanto fanno i suoi rivali, finché si perde di vista lo scopo iniziale e il risultato è una carneficina continua e senza apparenti giustificazioni.”
Naso di cane, dunque, è una storia costruita sui nuovi poteri criminali radicatisi a Napoli e nell’immediato suo entroterra e all’interno di questo mondo si sviluppa tutta la sua trama: il libro è ben più di un romanzo giallo, non ha rivelazioni da fare nelle ultime pagine, non ha colpevoli da svelare o enigmi che attendano di essere risolti: è la rappresentazione acuta ed efficace del reticolo quotidiano di vita ai margini della società e dentro di essa ritratti da Attilio Velardi con linee vigorose ed incisive, in scenari di violenza primordiale che generano esseri umani dall’inesorabile destino di farsi carne da macello, grandi e piccoli malavitosi, oppure figure memorabili come quella del Professore o della prostituta Rosa Senatore, personaggi dolenti, rassegnati e senza speranza.
Un’opera nella quale si alternano numerose vicende di persone, con un finale aperto perché purtroppo nella realtà non può che restare aperto l’intreccio contraddittorio tra il mondo civile e il nefando capitolo della camorra. Uno strumento di analisi sociale che favorisce la comprensione del lettore su un fenomeno dei nostri tempi; un testo coinvolgente che, nella rappresentazione dei quartieri più nascosti del centro e della periferia napoletani, ricorda la sapienza descrittiva di Ermanno Rea, un altro grande autore partenopeo.
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