NEL MARE CI SONO I COCCODRILLI, di Fabio Geda (Baldini + Castoldi)
Recensione 1
“Le parole che dicono la verità hanno una vibrazione diversa da tutte le altre” Andrea Camilleri
Ci sono letture, piccole, semplici, vere che portano a riflettere su tante cose, molte cose. Tanto da fare soffermare il pensiero sul fatto che ci vuole anche fortuna nel nascere nel posto giusto.
Il libro di Fabio Geda racconta l’odissea di Enaiatollah Akbari.
Un piccolo Ulisse che alla presunta età di 11 anni (non esiste anagrafe nella provincia di Gnazni) è abbandonato dalla madre per amore perché lei, la madre, sa che il suo piccolo è nato in un luogo sbagliato, un paese afgano dove libertà significa morire, dove essere hazara significa una vita da schiavo. Lo lancia alla ricerca di una vita migliore aggrappandosi alla sola speranza e alla disperata fortuna. Perché soltanto la fortuna può aiutare questi piccoli esseri nati sfortunati.
Abbandonare il proprio paese, perdere i propri cari, le proprie quotidiane e semplici abitudini, dimenticarsi le gioie e la spensieratezza dell’infanzia, diventare improvvisamente adulti per cercare di raggiungere un paese che possa offrire la dignità di crescere uomo. Di capire cosa significa vivere liberi.
Libertà, un concetto sconosciuto in un paese dove ad una certa ora non si può mettere il naso fuori casa, dove le scuole chiudono da un giorno all’altro, dove non si può tenere il copricapo fuori posto. In un paese così è dura capire il significato di libertà soprattutto per un ragazzino.
Tutto ciò perché sei nato in un luogo dove la vita vale una manciata di nulla, dove le rivalità etniche sono il corollario del quotidiano, dove in nome di un dio si uccide, dove si fanno le leggi per prepotenza, per ignoranza, per il piacere di non darla vinta, dove per ignobili tradizioni si cancellano i diritti umani quelli più elementari e imprescindibili
Inconcepibile. Impensabile. Vergognoso.
Il solo termine “trafficanti di uomini” fa rabbrividire, raggelare il sangue.
Fabio Gela raccoglie con sincero trasporto la storia di Enaiatollah, ormai ventunenne (?), la testimonianza del suo disperato spostarsi dal Pakistan all’Iran, dalla Grecia sino ad arrivare in Italia. Otto anni di fame, di freddo, di paura, di orrori, un viaggio con la morte, compagna sempre presente. Un viaggio clandestino con il dolore fisico, il dolore dei ricordi, di lacrime, di risate di isteriche. Otto anni vissuti di speranza continua.
Schiavo, sfruttato, picchiato, considerato il niente.
Eppure Enaiatollah è stato fortunato poiché Enaiatollah è vivo. È riuscito a sopravvivere. Fortunato a incontrare persone ancora con sentimenti umani, fortunato ad avere un fisico resistente.
Molti sono i cadaveri senza nome, dimenticati fra le montagne gelate o dispersi nell’immenso mare salato. Bisogna essere fortunati. E già bisogna proprio essere fortunati. Cosa da pazzi.
Un libro attualissimo, purtroppo.
Una storia a lieto fine che lascia scie di sangue e di morte.
Una lettura incredibilmente toccante. Una scrittura semplice, innocente, genuina proprio come quando si racconta la verità e si vuole condividerla perché si respira ancora, perché si spera ancora..
D’altronde è pur vero che quando il peggio è alle spalle, si ha la voglia di raccontare le esperienze vissute al fine di metabolizzare un passato altrimenti incomprensibile. Trasformarlo, quel passato, in un percorso “fiabesco”, a lieto fine.
Siamo nel 2023, l’era della plastica, delle intelligenze artificiali, del progresso, del benessere ma i diritti della vita ancora vengono calpestati proprio come in un’era barbara e primitiva, anzi peggio perché nell’era primitiva non si possedeva la consapevolezza, oggi si. Si uccide con l’intenzione di distruggere l’umanità, quella più debole e indifesa.
E mannaggia a quel desiderio avido e morboso di denaro che acceca gli occhi e inaridisce i cuori e a tutte quelle religioni che fanno di ogni dio un carnefice.
Ritengo che questo genere di letture siano essenziali e indispensabili al fine di prendere coscienza di situazioni che per noi risultano scontate mentre per altri, nostri simili, non lo sono affatto.
“Come si trova un posto per crescere Enaiat? Come lo si distingue da un altro?
Lo riconosci perché non ti viene voglia di andare via. Certo, non perché sia perfetto. Non esistono posti perfetti. Ma esistono posti dove per lo meno, nessuno cerca di farti del male”
Recensione di Patrizia Zara
Recensione 2
Non c’è cosa che io ami più del mare ed è stato come ascoltare un accordo stonato scoprire che c’è chi non lo ama, e non faccio riferimento a chi preferisce la montagna.
C’è chi del mare ha paura, potrebbe essere pericoloso se…
Nel mare ci sono i coccodrilli, di Fabio Geda, racconta la storia di Enaiatollah Akbari e del suo viaggio che dall’Afghanistan lo ha portato in Italia.
È un romanzo che pagina dopo pagina, Paese dopo Paese, fa riflettere ed emozionare.
Forse nel Mediterraneo non ci sono i coccodrilli, ma puoi trovarci i sogni di chi per il “bisogno di respirare” sceglie di emigrare. Enaiatollah Akbari lo spiega bene, con delicatezza e rispetto. Ma questo bisogno non puoi spiegarlo a chi non può capirlo, a chi non riesce a capacitarsi che scegliere il mare a costo di perdere la vita significa che l’alternativa nemmeno c’è.
Un racconto lucido e preciso, scorrevole e coinvolgente e che, nonostante la durezza della storia, è capace di strappare anche un sorriso.
Ho scoperto che c’è chi non ama il mare, che a volte il mare toglie, a volte il mare dà.
E se è vero che il contrario dell’amore è la paura, io non ho paura del mare, nemmeno quando è in tempesta… Io ho paura dell’uomo e della sua indifferenza verso i sogni che ci sono nel mare, quelli che il mare, se tu non accogli, prende.
Di Erika Polimeni
NEL MARE CI SONO I COCCODRILLI Fabio Geda
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