NESSUN LUOGO È SICURO Patricia Gibney

NESSUN LUOGO È SICURO, di Patricia Gibney (Newton Compton)

 

Recensione 1

Eccoci giunti al capitolo quattro della saga dedicata a Lottie Parker, detective della polizia irlandese con un background familiare piuttosto problematico. All’interno di questa definizione trovano comodamente posto almeno due o tre cliché, e purtroppo non è l’unico problema.

Una volta tanto non fa parte della voce “problemi” il titolo, correttamente tradotto questa volta (caso più unico che raro), ma come al solito Newton-Un-Grande-Thriller-Compton non lesina in quanto a ragazzine con la cerata colorata che si avviano verso lugubri granai: vorrei tanto capire il perché di questa scelta stilistica che è ricorrente nelle loro copertine quanto le proteste dei tifosi all’assegnazione di un rigore alla squadra avversaria, ma tant’è, torniamo a noi.

Il romanzo consta di circa 400 pagine, come di consueto diviso in sezioni principali che scandiscono i giorni di indagine, all’interno dei quali ci sono i più tradizionali capitoli. Tutta la narrazione è in terza persona che segue di volta in volta i vari personaggi, e ci racconta le vicende di una ragazza scomparsa e porta pian piano alla luce i retroscena di una famiglia che dire “problematica” è usare un gentile eufemismo.

Lo stile di scrittura è molto scorrevole e con pochissimi fronzoli, e ci porta dentro un mondo piuttosto disturbante con poco spazio all’immaginazione. I dettagli cruenti sono sempre sorvolati, ma è l’atmosfera generale che l’autrice riesce a creare che è il motore di tutto.

Motore che si deve però portare dietro anche delle zavorre non da poco, e il fatto di aver letto subito prima di questo il capitolo precedente, aiuta molto a evidenziarle, e cioè: cliché del non rispondere (più volte) a una telefonata importante (e nemmeno richiamare), cliché del superiore che è una testa di rapa, cliché del personaggio che manifesta livelli di stupidità tali che nella vita reale non gli avrebbero permesso di superare indenne l’adolescenza, cliché del personaggio che omette informazioni vitali per ragioni che non stanno in piedi nemmeno coi puntelli… insomma, cliché a profusione, e complicazioni e rimandi al solo scopo di allungare il brodo. La cosa che fa incazzare è che non ce ne sarebbe assolutamente bisogno, perché se anziché 400 pagine così me ne fai 350, ma anche solo 300, ma fatte bene, il romanzo resta romanzo ma è molto più godibile.

Ad ogni modo, nonostante tutto quanto sopra, la storia è come al solito bella e avvincente, trasporta il lettore in una atmosfera cupa e disturbante, e quando finisce lascia comunque un po’ di amaro in bocca dovuto proprio agli argomenti trattati.

Recensione di Mitia Bertani

Recensione 2

Lottie Parker è una madre vedova di tre figli adolescenti, la più grande dei quali è già madre a sua volta. Morto il marito per cancro, si trova da sola a dover fronteggiare le emergenze della vita quotidiana che vanno conciliate con il lavoro impegnativo che tanto ama: è una detective a capo della squadra che indaga sugli omicidi nella cittadina di Ragmullin (luogo inventato ambientato in Irlanda, dove tutti si conoscono e sanno tutto di tutti). Lottie beve, forse troppo, assume tranquillanti per non cedere di fronte alle mille avversità della sua vita: orfana di padre ha scoperto nel precedente romanzo (Uccidere ancora) di non essere la figlia biologica della donna che ha sempre chiamato mamma, con la quale ha tuttavia sempre avuto un rapporto fortemente conflittuale.

In questo romanzo (quarto della serie) Lottie si trova a dover indagare sulla morte di due giovani donne e sulla scomparsa di altre due: sarà una corsa contro il tempo, per evitare di ritrovarle cadavere. Come nei precedenti libri le indagini si intrecciano strettamente con la vita personale di Lottie e della sua squadra, in questo caso in particolare con quella del suo braccio destro, il dective Boyd, così calmo e pacato, costante contrappeso alle scelte impulsive e spesso azzardate del suo capo.

Apparentemente, siamo di fronte ai soliti cliché che caratterizzano la maggioranza dei thriller/gialli degli ultimi anni: un detective problematico, con dipendenze di vario genere, una vita familiare difficoltosa o inesistente, un passato tragico, un futuro incerto, grande intuito dell’investigatore regolarmente tarpato e condannato dai suoi superiori che alla fine vince su tutto e su tutti.

Ma in realtà la Gibney ha saputo reinterpretare e raccontare in maniera originale le trame orizzontali che – come dicevo – caratterizzano un po’ tutti i libri dell’ultimo decennio, seppur, per nostra fortuna, in taluni casi anche con ottimi risultati (mi viene subito in mente Harry Hole di Jo Nesbo). Forse perché la sua vita caotica, alle prese con lavoro, famiglia, problemi di vari tipi, è un emblema di quella di molte donne, di molte mamme, è la vita reale che irrompe nella narrazione giallista. Lottie si ritrova – anche suo malgrado – a mettere il lavoro prima della sua vita privata per un suo spiccato ed innato senso di giustizia che la sprona a lottare contro il male, anche per i suoi figli, per regalare loro – ed a tutti – un mondo migliore. Desolata di fronte ad un desolante frigo vuoto, a panni da lavare, asciugare, stirare, figli da sostenere, Lottie si fa sempre tentare dal fascicolo portato a casa per approfondire l’indagine. E le sue scelte di vita la fanno vivere in un perenne senso di colpa, che purtroppo nella società odierna tormenta e perseguita molte donne.

A tali considerazioni di tipo psicologico, va però aggiunta anche una notevole capacità della scrittrice di tenere il lettore perennemente sulle spine, non solo per le vicende personali di Lottie, ma soprattutto per l’incalzare delle indagini: questo libro, in particolare, mi ha fatto vivere in un perenne stato di angoscia, che se all’inizio del racconto è solo sotterranea, con il proseguire della narrazione diviene imperante e protagonista principale della storia.

Si può leggere questo libro senza aver letto i precedenti? Se siete lettori a cui le trame orizzontali interessano relativamente ed a cui piace concentrarsi in particolar modo sull’indagine, potreste godere anche questo bel libro isolato, perdendo alcune sfumature dei personaggi ma senza per questo rinunciare ad alcun aspetto della narrazione investigativa.

Per il mio modo di leggere e la mia passione per le storie dei personaggi (arrivo all’assurdità di non rileggere libri precedenti con gli stessi protagonisti perché il conoscerne già l’evoluzione mi toglie il piacere della loro conoscenza graduale) mi trovo però a consigliare di leggere anche i tre volumi precedenti.

Ma qualunque sia la vostra scelta… buona lettura!!!

Recensione di Giulia Quinti

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