NESSUNA RESA, di Claudio Locatelli (Piemme 2018)
Caro lettore, seguimi in una nuova storia. Oggi è roba che scotta! (SZ)
“Questa guerra non è lontana da noi” è il pensiero che si concretizza. Claudio Locatelli non solo lo pensa, ma decide di combatterla. Sette mesi. La guerra è la guerra dei combattenti per la libertà nel Rojava. Corre l’anno 2017. Il mese è quello di febbraio. L’etnia più conosciuta è quella curda, ma ce ne sono almeno duecento di etnie e relativi popoli. Fra loro ci sono anche religioni diverse; oltre a quelle più conosciute, come la religione cristiana o quella mussulmana, ce ne sono anche di meno note, come quella del popolo yazida. Si sono uniti per costruire la rivoluzione culturale più all’avanguardia di tutti i tempi, dove le donne si ergono a cape e dirigenti forse più degli uomini. Dove la società e la vita in comune si basa sui diritti sacrosanti di ogni essere umano, donna in primis. Non come il Califfato che considera la donna un oggetto che si può vendere, comprare, barattare, rompere e distruggere a proprio piacimento.
Claudio Locatelli, nato a Bergamo, attivista e giornalista ha prestato la sua opera in varie emergenze italiane, come il terremoto ad Amatrice, in Emilia e l’alluvione nel Veneto. Dal 2014, ha deciso di impegnarsi nella lotta anti-ISIS, partecipando (nel 2017) alle battaglie di Tabqa e Raqqa, sul fronte del battaglione internazionale YPG. Questa è la guerra che ha combattuto e che viene raccontata in “Nessuna resa”. La sigla YPG è l’unità di protezione popolare, braccio armato del partito dell’unione democratica. Ha respinto l’Isis a Kobane, Qamişlo, Tabqa e Raqqa. Al suo rientro ha tenuto conferenze in diversi Paesi del mondo, per diffondere la verità della rivoluzione del Rojava. Ora si trova a Kabul, a far fronte a un’altra emergenza umanitaria. Media–attivista, cerca di influenzare il mondo su una serie di tematiche spesso ignorate. Claudio Locatelli spiega che l’Isis è una mentalità non così diversa dal nazismo e dal fascismo.
Una mentalità che non sarà sconfitta facilmente. «Per attrarre combattenti dall’estero, Daesh si mostrava forte, invincibile. […] Agli stranieri promettevano case, schiave del sesso e uno stipendio. In pratica una nuova vita.» (p.130) Maestri della comunicazione sono bravissimi videomaker di propaganda, eccellenti promotori. Questo spiega le cifre che vedono circa un quinto di italiani partiti per arruolarsi e combattere per la democrazia, rispetto a quelli inglobati dall’Isis come foreign fighters. Fa male dirlo, ma ci sono anche donne partite dall’Italia a combattere per il Califfato. Invece, per entrare a fare parte dello YPG, Claudio Locatelli ha frequentato la loro accademia internazionale e la formazione complessiva è durata circa un mese. Ha imparato come prendere un fucile in mano senza spararsi sui piedi, poi le tattiche militari. Ha studiato le usanze del luogo, la questione femminile, i motivi della resistenza. Che Claudio già portava nel suo cuore. “Non si va lì a combattere perché è divertente combattere. Si va lì a combattere perché è importante farlo”. Non tutti sono animati dallo stesso fuoco, dalla stessa passione.
Accanto a lui i combattenti stranieri non erano sempre spinti da nobili pulsioni. «Erano gli spara-spara. Zero coscienza politica, zero interesse per il contesto storico e culturale in cui ci trovavamo. Erano quelli a cui interessava soltanto andare al fronte e premere il grilletto.» (p.170) Oppure dice di un combattente inglese, per niente incuriosito dalle donne combattenti e dalle loro terribili storie: «‘Se non ci posso andare a letto, me ne frego.’ Con lui non avevo un gran rapporto. […] Era lì per l’adrenalina. Era lì per sparare, e forse poco altro.» (p.115) Le motivazioni di Claudio Locatelli si radicano in un terreno diverso. «Mi trovavo nel campo profughi di Diyarbakir, in Turchia. Se lì mi avessero detto che un giorno sarei stato dall’altra parte del confine con un kalashnikov in mano, steso a terra, col dito sul grilletto, non vi avrei creduto. […] Eppure fu proprio alle porte della città turca, a circa cento chilometri in linea d’aria dalla Siria, che qualcosa, in me cambiò. Irrimediabilmente. Ero circondato da persone che avevano perso tutto, i cui occhi portavano impressi gli orrori di un genocidio: il genocidio del popolo yazida.» (p.15) Sono le parole di un padre che parla dei suoi figli, scomparsi nel nulla un giorno che giocavano a pallone a sconvolgerlo: «Li avevano uccisi… e cucinati […] e ce li hanno serviti su un vassoio.» (p.17) Com’è possibile un simile orrore?
Fu così che Claudio decise di fare qualcosa. «La solidarietà e il sacrificio per gli altri hanno un fascino tanto raro quanto universale, perché superano i confini del tempo e quelli dello spazio.» (p.31) Perché Claudio lo sa che rischia di non tornare ma sa anche, lui che è giornalista che le parole a volte non bastano. Doveva passare all’azione: «la parola, in ultima analisi, era fallita.» (p.39) E se falliscono le parole si impugnano le armi. Per i diritti di tutti, ma soprattutto delle donne. La violenza contro le donne costituisce una violazione dei diritti umani a livello globale. Per questo motivo un filo rosso unisce due ricorrenze altrettanto significative: da una parte il 25 novembre che celebra la lotta contro “ogni atto di violenza fondata sul genere che abbia come risultato, o che possa probabilmente avere come risultato, un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, che avvenga nella vita pubblica o privata”; dall’altra il 10 dicembre commemora l’Anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
In questi 16 giorni di attivismo contro la violenza di genere”: a difesa dei diritti umani, ci sono le esperienze delle donne (YPJ) e degli uomini (YPG) combattenti, esperienza condivisa da Claudio Locatelli che non ha esitato un secondo a rischiare la sua vita per un ideale umano. Per combattere e sconfiggere una mentalità. Ricordiamocelo: Isis si alimenta di alcuni semi che germogliano molto proficuamente anche nelle nostre società e democrazie. La violenza non si può stare a guardare. Ognuno di noi quando la vede è chiamato a uscire dalla propria inerzia. Non importa arruolarsi in Rojava (non tutti abbiamo il fuoco di Claudio), possiamo arruolarci qui con le nostre buone azioni. Con il nostro sostegno. E soprattutto con l’informazione. Cercando la pace e gli stessi diritti pe tutte e per tutti. Nessuna resa. Mai.
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