NON OSO DIRE LA GIOIA, di Laura Imai Messina (Pickwick)
Quante parole conosciamo per descrivere la gioia? A contarle, forse, basterebbero le dita di una mano. Certamente molte meno di quelle che possediamo per descrivere un dolore, una pena, a cui siamo costantemente esposti in un esercizio di percezioni e denominazione.
E chi osa dirla quella gioia?
Il rischio è che una di queste parole venga sprecata, perché più adatta in occasioni migliori, più intense, più pregne di felicità. “Sono felice” sembra come dire “ti amo”: fa paura e non si sa mai bene se è opportuno dirlo.
Nel turbinio di vite difficili, contorte, affaticate e complesse, i protagonisti di questa storia ben raccontata, Clara, Marcel, Momoko e Nicola (Jean), faticano a dire la gioia, a riconoscerla, a sentirla, a condividerla. Forse perché non gli appartiene, forse perché è difficile riconoscerla o forse perché dirla o condividerla alla fine può generare invidie e vendette inaspettate, proprio da parte di chi si ama e da chi si è amati.
Perché la gioia, la felicità vista negli altri può essere pericolosamente logorante in chi non ce l’ha.
Clara è un personaggio complesso, e i capitoli che la riguardano sono brevi, lenti e pieni di simboli su cui sono proiettati i suoi vissuti depressivi (uno degli aspetti più apprezzabili della prosa della Messina: il ritmo varia a seconda del calibro delle energie vitali dei personaggi).
Marcel è pulito, semplice, inconsapevolmente soffocato dall’amore e dalla gratitudine verso qualcuno a cui crede di dovere tutto.
Momoko è saggia, profonda e aperta alla vita, amante dei sapori, della bellezza e dell’amore che sa nutrire e fare evolvere l’altro nella relazione.
Nicola è avvelenato, privo di una identità e di un nome, frammentato, confuso, oscillante e straripante e vive la vita sotto le mentite spoglie di Jean, un ologramma di un amico sincero e onesto che in realtà è solo un’illusione.
Nelle circa 400 pagine, la Messina tesse come trama e ordito di una coperta fittissima le loro storie, apparentemente sconnesse, fino ad un epilogo che può apparire lieto, ma che in verità conserva tracce del dramma di alcuni dei protagonisti che rimangono disperati, che non riescono ad evolvere né in una vita intera né dinnanzi al potere di un perdono, apparentemente forzato, frutto di uno stato di grazia di una gioia pura che si è saputa riconoscere e che trova corpo e parole in una nuova vita.
Alcuni lettori capiranno prima, altri dopo il senso della coesistenza di tanti personaggi nel romanzo e di come le loro vite siano intrecciate, a dimostrare ancora una volta che le scelte di una individualità, come il battito di farfalla in un posto e in un tempo “lì e allora”, siano in grado di provocare uno tsunami in un luogo e in un tempo traslati nel “qui ed ora”.
Piccola nota personale: Arturo, un personaggio secondario, intriso di umanità e generosità, commuove e scuote per la sua potenza silenziosa e inerme, che però può fare rabbia ed apparire incomprensibile.
Delle volte ci si perde nelle descrizioni fitte dei rumori, dei colori, dei profumi, nelle allegorie, metafore, simbologie e negli ossimori pieni di aggettivi che richiamano al vissuto dei sensi e che rimandano all’acume percettivo della scrittrice a cui evidentemente preme mettere parole ad ogni particolare. Ma è così bello quando trovi un narratore capace di prestare una così delicata e poetica attenzione anche al più banale dei particolari, sentendo l’esigenza di dargli forma attraverso la scrittura. Questo esercizio religioso della celebrazione delle piccole cose, la Messina l’ha probabilmente assorbito dalla cultura giapponese, che ha fatto pienamente sua, nonostante le origini romane, ibridazione che incarna il personaggio di Momoko che poi è l’unico capace di portare cambiamenti significativi nelle vite dei personaggi.
E io, che in Giappone ci sono stata giusto il tempo di un piccolo frammento infinitesimale di vita buono perlomeno a far cambiare i venti, non ho potuto che apprezzarlo, perché è l’essenza di quel mondo che più ho sanamente invidiato e dalla quale sono stata più sconvolta, che avrei messo nella mia valigia al ritorno, se solo avesse avuto forma di una qualunque sostanza.
Un libro che è un viaggio tra vite complesse, non irresistibile quanto un classico, ma certamente intenso e pieno di spunti su cui riflettere. Una buona lettura.
Alla fine, il lettore deve un ringraziamento alla Messina: aver assimilato qualche parola in più per sapere riconoscere la gioia e saperla esprimere, anche nel vortice di esistenze dolorose.
Consigliato.
Recensione di Marta Onirici
NON OSO DIRE LA GIOIA Laura Imai Messina
Commenta per primo